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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Il processo

Cosa manca all'Ucraina per entrare nell'Unione europea

Zelensky ha chiesto di avviare i negoziati di adesione già a fine 2023. Ma la strada verso Bruxelles è irta di "barriere artificiali" e "prigionie burocratiche"

A un anno dall'invasione della Russia, l'Ucraina non ha ancora vinto la guerra. Ma di sicuro il presidente Volodymyr Zelensky può vantare di aver portato a casa un risultato storico: il suo Paese ha ormai avviato un processo di integrazione nell'Unione europea che sembra irreversibile, e che ha buone chance di essere più rapido di quanto fosse prevedibile prima del conflitto. Ma il concetto di rapidità è pur sempre relativo, tanto più quando si parla di allargamento dell'Ue. E così, sebbene il presidente ucraino, nel suo viaggio a Bruxelles, abbia chiesto pubblicamente l'apertura dei negoziati per l'adesione, ossia l'ultimo tassello prima dell'effettivo ingresso, già a fine 2023, il sogno di Kiev potrebbe presto infrangersi non solo contro quelle "barriere artificiali" e quelle "prigionie burocratiche" citate dallo stesso Zelensky, ma anche con i limiti democratici ed economici di un Paese che, cosa non secondaria, è ancora in guerra. 

I compiti a casa  

Il primo limite è quello della democrazia. Già prima dell'invasione, il Parlamento europeo aveva sottolineato come l'Ucraina scontasse ancora gravi carenze sotto il profilo dello stato di diritto, dei sistemi anticorruzione, ma anche del rispetto dei diritti umani. In particolare, la preoccupazione riguardava il ruolo e il peso degli oligarchi ucraini nel sistema di potere. Nel giugno scorso, quando i 27 Stati membri hanno dato l'ok allo status di candidato all'accesso dell'Ucraina, queste criticità erano confluite in un elenco di riforme in 7 punti a cui Kiev deve dare seguito per far partire i negoziati di adesione.

Zelensky con von der Leyen e Michel a Bruxelles-2

Questi prevedono la riforma dei meccanismi di nomina dei giudici della Corte costituzionale e di quelli del Consiglio superiore di giustizia, maggiori risultati nella lotta alla corruzione ("in particolare ad alto livello") anche con la nomina di nuovi vertici dell'ufficio anticorruzione, la revisione della legislazione antiriciclaggio, la riforma dell'intero settore delle forze dell'ordine, l'attuazione di una legge anti-oligarchi, una legge sui media in linea con la direttiva Ue sui servizi di media audiovisivi, e la riforma del quadro giuridico per le minoranze nazionali.

Le riforme

Su questi sette punti, nonostante le bombe e lo sforzo militare, il governo ucraino non è stato con le mani in mano. Secondo quanto dichiarato dalla vicepremier Olga Stefanishyna, il suo Paese avrebbe compiuto passi avanti su tutti e sette i punti. Il Parlamento ha modificato il meccanismo di nomina dei giudici costituzionali, introducendo una selezione "trasparente per il pubblico e per i partner internazionali", e sono in dirittura di arrivo tre atti legislativi in materia di antiriciclaggio. È stato poi nominato un nuovo procuratore capo dell'ufficio anticorruzione, e a novembre Zelensky ha firmato la legge anti-oligarchi. A dicembre, invece, il Parlamento ha adottato una nuova legge sui media, mentre il disegno di legge sulle minoranze è in fase di definizione. 

Il nodo corruzione

Vista così, sembra che l'Ucraina, nel giro di sei mesi, abbia quasi terminato i compiti a casa. Ma perché le leggi siano efficaci non basta solo il titolo, servono anche risultati nella loro applicazione concreta. Su questo, Kiev ha cercato di dare un segnale forte soprattutto sulla corruzione, il punto debole da cui dipende anche l'esborso dei circa 15 miliardi di aiuti promessi da Bruxelles (sui 18 totali). Nel 2022, secondo i dati forniti dall'ufficio anticorruzione, oltre 150 persone sono state assicurate alla giustizia e più di 40 casi sono stati portati all'Alta corte anticorruzione, che ha emesso oltre 20 pene detentive. Tali azioni hanno permesso di recuperare circa 30 milioni di euro che sono stati usati per le spese belliche. Tra gli arrestati ci sono deputati, giudici e imprenditori.

I colpi più spettacolari alla corruzione, però, sono arrivati lo scorso gennaio, a ridosso del viaggio di Zelensky a Bruxelles: tutto è cominciato con lo scandalo che ha colpito Vasyl Lozynski, viceministro delle Infrastrutture, finito in carcere con l'accusa di aver incassato 400 mila dollari per facilitare l’acquisto di generatori elettrici a prezzi gonfiati. Da lì, è iniziato un giro di vite che ha coinvolto altri membri del governo e politici di spicco locali, e che avrebbe dovuto colpire anche uno dei simboli della resistenza ucraina, il ministro della Difesa Oleksij Reznikov. Il quale però, nonostante lo scandalo di corruzione che ha investito il suo ministero e le insistenti voci sulla sua rimozione, è rimasto al suo posto.

La prima promozione

I progressi sulle riforme e i segnali nella lotta alla corruzione hanno sortito un primo risultato a Bruxelles: a inizio febbraio governi Ue e Commissione europea hanno consegnato una prima pagella in cui hanno di fatto promosso gli "sforzi considerevoli" dell'Ucraina nel suo cammino verso l'adesione.La promozione è stata accompagnata dalla decisione di consentire alle imprese e ai cittadini ucraini di partecipare ai principali programmi di finanziamento del blocco, dall'Erasmus ai fondi per i trasporti. In qualche modo, si tratta di un primo importante passo all'interno dell'Unione: se gli aiuti sono dei prestiti vincolati a delle condizioni (compresa l'attuazione di riforme), i fondi dei programmi europei sono sussidi che l'economia e i singoli ucraini possono incassare alla pari di imprese e cittadini europei. 

Ma proprio qui sta uno dei nodi economici che rischiano di ritardare l'ingresso dell'Ucraina nel blocco, anche per anni. Un conto, infatti, è mettere a disposizione di un Paese in guerra prestiti ed eventualmente sussidi per aiutare a far fronte alle conseguenze del conflitto e promuovere la ricostruzione. Un altro è dargli l'accesso diretto al bilancio Ue. Data la sua situazione economica e sociale, e vista l'ampiezza della sua popolazione, l'Ucraina diventerebbe il maggiore beneficiario netto dell'Unione, ossia riceverebbe dal resto del blocco più di quanto invia a Bruxelles per la cassa comune. Il suo ingresso, in altre parole, comporterebbe la necessità di ampliare, e non di poco, il bilancio dell'Ue. Il che avrebbe un effetto soprattutto sui cosiddetti contributori netti (dalla Germania all'Italia), ossia su coloro che al contrario spendo per la cassa comune europea più di quanto ricevono con i vari programmi.

Su questo punto, però, c'è chi spezza una lancia a favore dell'Ucraina. Uno studio del Cepr (Center for economic policy research), prestigioso think tank basato a Bruxelles, segnala che anche l'Europa trarrebbe importati benefici da un'eventuale adesione di Kiev. Ricostruire l'apparato industriale ucraino distrutto dalle bombe, per esempio, potrebbe voler dire riconvertirlo alla produzione di tutti quei componenti necessari alla transizione ecologica che a oggi l'Ue è costretta a importare. Inoltre, l'Ucraina è ricca di materie critiche, come il litio e le terre rare, di cui c'è una fame crescente perché alla base, per esempio, delle batterie delle auto elettriche. Non è un caso che a febbraio, nel suo viaggio a Kiev, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen abbia siglato con il governo ucraino un memorandum di intesa in cui di fatto il Paese ex sovietico mette a disposizione il suo enorme potenziale energetico (gas, biometano, nucleare, ma anche riserve minerarie) al servizio della transizione dell'Europa. 

Le barriere artificiali

Anche volendo mettere da parte le questioni su riforme ed economia, l'adesione all'Ue dell'Ucraina deve fare i conti con un grande ostacolo politico, ossia i veti incrociati tra i governi europei che, con la sola eccezione della Croazia, hanno bloccato da tempo il processo di allargamento. Ne sanno qualcosa Albania e Macedonia del Nord, che hanno completato da tempo tutte le riforme richieste da Bruxelles, ma che attendono ancora il via libera definitivo dei governi Ue per entrare nel club (in particolare della Francia). Al di là della burocrazia, per far parte dell'Unione ci sono equilibri e interessi geopolitici difficili da portare a sintesi. E c'è chi ricorda come la fretta di avere Polonia e Ungheria nel club non sia vista oggi come uno dei più grandi successi di Bruxelles. Sono forse queste le "barriere artificiali" a cui si riferiva Zelensky nella sua recente missione in Europa. Barriere che, forse, saranno più difficili da superare di quelle delle riforme. 

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