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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Il paradosso del carbone che viene dalla Russia

L'Ue vuole usarlo al posto del gas di Putin, ma le centrali europee dovrebbero raddoppiare le importazioni. Proprio dalle miniere controllate da Mosca

L'Italia ha fermato la chiusura di due delle sue sette centrali a carbone per rilanciare la produzione di energia e affrontare la potenziale stretta sul gas russo. Anche la Germania è intenzionata a seguire la stessa strada. E l'Ue, che nel suo piano REPowerEU lanciato per dire addio ai gasdotti di Mosca entro il 2030 non cita il carbone, ha ammesso che chiuderà più di un occhio sul probabile rilancio del fossile maggiormente dannoso per l'ambiente. "Non ci sono tabù in questa situazione", ha detto Frans Timmermans, il commissario europeo che gestisce i piani del Green deal dell'Ue.

Da Bruxelles a Roma, passando per Berlino, il motto è 'meglio investire sulle vetuste e inquinanti centrali a carbone che pagare il gas che alimenta le guerre di Vladimir Putin'. Peccato, però, che sostituire una fonte fossile con un'altra rischia di tradursi in un paradossale autogol, dato che a oggi il principale fornitore di carbone e lignite in Europa è proprio la Russia. 

Secondo gli ultimi dati disponibili, quelli del 2020, l'Unione europea brucia circa 145 milioni di tonnellate di carbone all'anno. Di questi, ben 44,2 milioni di tonnellate provengono dalla Russia, quasi un terzo. In Italia, per esempio, nel 2020 il 55,8% del carbone utilizzato dalle nostre centrali proveniva dalla Russia, seguito dal 20,6% degli Usa.

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Stando alle stime di Nomisma sull'Italia, facendo lavorare al massimo le nostre 7 centrali (Monfalcone, Fusina, La Spezia, Torrevaldaliga, Brindisi,  Fiume Santo e Portoscuso), si potrebbe portare la quota del carbone sul mix energetico dall'attuale 6% al 10%. Secondo uno studio della società di consulenza Aurora, in tutta l'Ue il riavvio delle centrali (o meglio lo stop alle chiusure preventivate) sul modello di quanto fatto in Italia farebbe risparmiare più di 7 miliardi di metri cubi/anno di gas. Il problema, stimano gli esperti di Aurora, è che questo significherebbe "quasi raddoppiare l'attuale livello delle importazioni russe" di carbone.

Certo, ci si potrebbe affidare ad altri fornitori, in particolare a Stati Uniti e Australia. Ma secondo gli analisti di Aurora, non è "fattibile" che tutte le centrali Ue possano da un giorno all'altro fare a meno del carbone proveniente dalla Russia. Si potrebbe fare affidamento sulle miniere di Paesi partner, ma anche questa strada richiede tempo. Si pensi all'Ucraina, che da quando nel 2014 ha iniziato il braccio di ferro con Mosca ha perso il controllo del 70% delle sue miniere di carbone. Molte delle quali nella contesa regione del Donbass. 

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