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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Sea Watch, ecco perché l'Olanda non ha l'obbligo di accogliere i migranti a bordo

E' vero che la nave è territorio olandese, ma il Regolamento di Dublino "solleva" Amsterdam da responsabilità dirette nei confronti dei 47 naufraghi. Secondo quanto ricostruito dall'Agi, spetta all'Italia occuparsi di loro

Quella bandiera olandese che sventola sulla nave Sea Watch, ormeggiata al largo di Siracusa da giorni con a bordo 47 migranti, tra cui anche minorenni, è stata rilanciata sui social da esponenti del governo e della maggioranza come prova inconfutabile delle responsabilità di Amsterdam: l'imbarcazione è “roba loro” e spetta ai Paesi Bassi farsi carico dell'accoglienza dei naufraghi. Ma è proprio cosi'?

Secondo quanto ricostruito dall'Agi, nessuna norma europea o internazionale, in realtà, imporrebbe all'Olanda di accogliere le persone a bordo della Sea Watch. “La richiesta italiana non trova fondamento né nelle convenzioni internazionali sul diritto marittimo né nel regolamento Ue di Dublino”, scrive l'agenzia. 

Lo scontro diplomatico

L'Agi ripercorre le tappe del nuovo fronte di scontro diplomatico intra-Ue promosso dal governo, dopo quello con la Francia sul caso del franco CFA: il ministro dell'Interno e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, il 25 gennaio, ha scritto su Facebook di aver inviato una lettera al governo olandese chiedendo, tra le altre cose, di "predisporre, con urgenza, gli adempimenti relativi all'organizzazione della presa in carico e del trasferimento in territorio olandese dei 47 migranti a bordo della nave olandese Sea Watch”. 

Poche ore prima anche l'altro vicepresidente del Consiglio, nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio aveva espresso una posizione simile, che chiamava in causa Amsterdam per l'accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo dalla nave Sea Watch, gestita da una Ong tedesca ma battente bandiera olandese. 

Il governo olandese ha risposto, per bocca del segretario di Stato per l'Asilo e le migrazioni Mark Harbers, che finché non ci saranno accordi europei per soluzioni strutturali alla questione migratoria l'Olanda non prenderà parte a soluzioni estemporanee, e che Amsterdam "non è responsabile per la Sea Watch”. Parole a cui Di Maio ha replicato in queste ore avanzando l'ipotesi di un “incidente diplomatico” con Amsterdam.

Cosa dice il diritto del mare

Ma se prova di forza sarà, il rischio, almeno a livello legale, è che l'Italia si ritrovi dalla parte del torto. L'Agi parte da un presupposto: è vero che, come sostengono gli esponenti del governo gialloverde, “una nave che batte bandiera olandese, di fatto, è un pezzo di territorio olandese”. Lo stabilisce il diritto internazionale del mare (Convenzione di Montego Bay del 1982, articoli 91 e seguenti). 

Questo, pero', non vuol dire che Amsterdam debba accogliere i migranti. La ragione sta nell'ormai famoso (e per alcuni famigerato) Regolamento di Dublino, il testo legislativo dell'Ue che regola l'accoglienza dei migranti e la ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri. 

E cosa dicono le norme Ue

Il Regolamento di Dublino prevede che (articolo 13), salvo eccezioni, se "il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro" allora è quello Stato a essere "competente per l'esame della domanda di protezione internazionale". Salendo a bordo della Sea Watch, argomenta l'Agi, “i migranti avrebbero varcato la frontiera dello Stato olandese, che dovrebbe quindi essere il responsabile dell'esame delle domande di asilo e dell'accoglienza dei richiedenti. Questa conclusione del ragionamento, che a prima vista sembra corretta, è pero' sbagliata”. 

Il caso Hirsi

Il motivo lo aveva spiegato in tempi non sospetti, il 3 maggio 2017, il contrammiraglio Nicola Carlone, della Guardia costiera italiana, nel corso di un'audizione parlamentare. Qui Carlone aveva spiegato che "Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi. Il caso Hirsi lo dimostra". Il "caso Hirsi" è una vicenda che ha visto l'Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2012, per la politica dei "respingimenti in mare" dei migranti voluta dall'ultimo governo Berlusconi, in particolare dal ministro dell'Interno leghista, Roberto Maroni. Nella sentenza veniva chiarito che le procedure per l'esame della situazione di un migrante - se sia un perseguitato che ha diritto alla protezione internazionale o meno - sono talmente complesse che non è pensabile vengano fatte a bordo di una nave. Devono quindi essere fatte a terra, dopo aver sbarcato i migranti nel porto sicuro più vicino. 

“Il porto sicuro più vicino alla costa libica per i richiedenti asilo – spiega l'Agi - non potendo considerare tali la Libia stessa, la Tunisia e gli altri Stati della costa africana del Mediterraneo, è l'Italia. Che la nave battente bandiera olandese sia di una Ong, e non ad esempio un mercantile di passaggio - che è comunque tenuto a salvare i naufraghi alla stessa maniera - non è rilevante”.

La riforma di Dublino

Per chiarire meglio il concetto, l'Agi fa un esempio: “Possiamo spiegare la questione con un esempio paradossale: se i migranti fossero stati salvati nel Mediterraneo da una nave mercantile australiana che sta trasportando merci da Brisbane a Londra, non sarebbe pensabile che di questi migranti si dovesse fare carico l'Australia. Non sarebbe infatti legittimo che le domande di asilo venissero esaminate a bordo della nave, come chiarito dal caso Hirsi, e non sarebbe legittimo trattenere dei potenziali rifugiati su una nave per le settimane necessarie a compiere il percorso fino all'Australia. Dovrebbero comunque essere sbarcati nel porto sicuro più vicino al luogo di salvataggio. Qui verrebbero poi esaminate le richieste di asilo”. 

Insomma, per l'Italia pare che l'unica via d'uscita da casi simili in futuro sia la riforma del Regolamento di Dublino. Una riforma che il Parlamento europeo ha già varato, nonostante il voto contrario della Lega. E che è bloccata da tempo in Consiglio, ossia dagli Stati membri. A partire da Paesi come Ungheria e Polonia con cui l'attuale governo sembra andare d'amore e d'accordo. A differenza dell'Olanda, che invece è tra i favorevoli alla riforma.  

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