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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Aiutiamoli a casa loro? Al contrario, i Paesi Ue tagliano i fondi allo sviluppo

Secondo il report annuale di Concord nel 2017 sono diminuiti del 4%: “Così ci vorranno 40 anni per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030”. One: “È arrivato il momento di pensare e agire strategicamente”

Da una parte si chiudono le frontiere e dall'altra si grida “aiutiamoli a casa loro”. Peccato che poi nei fatti gli “aiuti a casa loro” vengano diminuiti. Per la prima volta dopo cinque anni, nel 2017 l'Europa ha ridotto i fondi destinati al sostegno dei Paesi in via di sviluppo. È quanto emerge dal report annuale “AidWatch 2018” pubblicato da Concord, confederazione che riunisce associazioni attive nel campo dell’assistenza e dello sviluppo in tutta Europa. Lo studio evidenzia che, nonostante l’Unione europea continui a occupare il gradino più alto del podio a livello mondiale per contributi al settore, le risorse totali hanno subito un taglio del 4% nel 2017 rispetto al bilancio dell’anno precedente. Le sigle no profit ricordano che Bruxelles si era impegnata a raggiungere una soglia minima pari allo 0,7% del reddito nazionale lordo di ogni Paese membro da destinare ai fondi di assistenza e sviluppo entro il 2030. Ma di questo passo, calcola Concord, ci vorranno altri 40 anni per raggiungere tali obiettivi.

Cifre gonfiate

Il declino degli aiuti UE è fortemente correlato alla diminuzione della spesa per l'accoglienza dei rifugiati e per le politiche di riduzione del debito attuata da alcuni Paesi membri, che sono diminuiti rispettivamente del 10% e dell'82% rispetto allo scorso anno. Le Ong lamentano in generale il fatto che queste due sppese vengano conteggiate come aiuti allo sviluppo, quelli cioè che dovrebbero contribuire a ridurre la povertà di questi Stati aumentandone le capacità economiche e sociali. “Da un lato, deploriamo il disimpegno dell'Ue e dei suoi Stati membri nell'assicurare aiuti sufficienti e il rispetto dei loro impegni. D'altro canto, ci rammarichiamo del fatto che il livello di aiuti dell'Ue si basi su aiuti gonfiati e che il 2017 abbia confermato questa preoccupante direzione”, ha dichiarato Luca De Fraia di ActionAid. Conteggiare ad esempio quanto costa l'accoglienza dei rifugiati in Europa non è la stessa cosa di conteggiare quanti soldi vengono elargiti “a casa loro” per contribuire al loro sviluppo nazionale. Lo stesso vale per la riduzione del debito che tra l'altro, secondo Concord, viene da crediti per l'export, una pratica che non sempre porta a miglioramenti delle condizioni di sviluppo dei Paesi che li ricevono. “Per diversi anni, il controllo della migrazione, la cartolarizzazione e gli investimenti del settore privato nei paesi donatori hanno soppiantato gli obiettivi di sviluppo, gonfiando progressivamente il livello di aiuto segnalato. Ciò significa che sempre meno risorse dall'Ue sono dedicate all'eliminazione della povertà e allo sviluppo sostenibile globale”, ha aggiunto De Fraia.

Serve alternativa agli investimenti privati

Anche One, la Ong creata da Bono Vox degli U2, ha lanciato un appello ai leader che si riuniranno nel Consiglio europeo giovedì affinché raggiungano l'obiettivo dello 0,7% entro il 2030. “Questo è il momento per i leader europei di pensare e agire strategicamente. In primo luogo, bisogna essere in due ad agire, ma i paesi africani sono i grandi assenti nelle discussioni dell’Ue sulla nuova cosiddetta parità di partenariato”, ha dichiarato Friederike Röder, Direttore di One Campaign Europa e Francia. In secondo luogo, ha aggiunto, “i soli investimenti privati non sono sufficienti”, e allo stesso tempo “manca un’alternativa per maggiori investimenti pubblici nell'istruzione e nella sanità di base”. L'Ue, ha concluso Röder, “deve rispettare l'impegno internazionale di destinare lo 0,7% del Reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo entro il 2030 e aumentare gli aiuti pubblici al settore a 140 miliardi di euro nel prossimo quadro finanziario pluriennale. Questo contributo è il miglior investimento che possiamo fare per nostro futuro comune".

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