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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Plastiche degradabili e biodegradabili pari sono (per l'Ue): ecco perché sono messe al bando (per alcuni prodotti)

L'Italia ha puntato molto sulle bioplastiche e su quelle compostabili, ma la direttiva Single Use Plastics non le ha "salvate" dal divieto di uso in una serie di oggetti monouso di largo consumo

Il tema ormai è noto: tra meno di un mese, entro il 3 luglio, i prodotti di plastica monouso dovranno sparire dagli scaffali dei supermercati dei paesi UE. La direttiva europea che lo prevede è la 2019/904, che è stata approvata appunto nel 2019 dalla Commissione europea. La normativa, che ha il nome ufficiale di “sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”, si inserisce nel quadro più ampio della Plastic tax e del Piano d’azione per l’economia circolare. La sostituzione della plastica con prodotti più facili da riciclare e con meno impatto sull’ambiente in termini di produzione è un impegno di lungo corso dell’Unione europea, che con la Single Use Plastics (SUP) ha deciso di aggiungere un tassello: nel mirino della direttiva ci sono infatti le plastiche monouso. Ma quali sono, nello specifico, le plastiche fuori norma?

Non degradabile, oxo-degradabile e biodegradabile pari sono (per l'Ue)

La direttiva è chiara nell’assimilare le plastiche non degradabili a quelle oxo-degradabili e biodegradabili, vietandole entrambe. Le seconde sono sempre più comuni nei nostri supermercati, e sono quelle che gettiamo nell’umido. Nella terminologia-ombello di “biodegradabili” la SUP fa rientrare sia quelle che provengono da fonti non rinnovabili sia quelle bio-based, cioè nate da biomasse organiche. Le plastiche bio-based comunemente utilizzate e vietate dalla SUP sono polimeri naturali modificati chimicamente derivanti dalla trasformazione degli zuccheri presenti nel mais, barbabietola, canna da zucchero e altri materiali naturali. Secondo l’Unione europea e alcune associazioni ambientaliste, le bioplastiche rimangono infatti inquinanti, e il fatto che siano “biodegradabili” non certifica la loro capacità di degradarsi completamente né in processi industriale né abbandonato nell’ambiente.

L’UNEP (United Nations Environment Programme) in un comunicato del 2015 scriveva che “l’adozione diffusa di prodotti etichettati come biodegradabili non diminuirà in modo significativo il volume di plastica che entra nell’oceano o i rischi fisici e chimici che le materie plastiche rappresentano per l’ambiente marino”.

Secondo uno studio di Greenpeace, inoltre, non è sempre vero che gli impianti di trattamento dell'umido siano in grado di gestire le plastiche che vengono certificate come compostabili, che cioè possono essere gettate nell’umido: queste potrebbero essere troppo complesse, o semplicemente troppo grandi. Sempre secondo la ong spesso gli impianti di smaltimento dell’umido cosiddetti di digestione anerobica non sarebbero in grado di distinguere le plastiche compostabili da quelle non compostabili, e quindi le scartano tutte a priori.

La direttiva parla anche delle plastiche PET, quelle cioè realizzate in polietilene tereftalato: una materia sintetica che trae origine dalla famiglia del poliestere ed è realizzata con petrolio, gas naturale e materie prime pregiate. La gran parte delle bottiglie e dei loro tappi è prodotta in questo modo. In particolare l’articolo 6 prevede che i prodotti in PET dovranno, entro il  2025, contenere almeno il 25% di plastica riciclata. Entro il 2030 la percentuale dovrà salire al 30%.

Negli ultimi giorni si è aperto un confronto (forse un po’ tardivo) tra Bruxelles e Roma sul tema delle plastiche biodegradabili e compostabili. Per l’Italia sono diventate un settore industriale importante, con associazioni di categoria e una filiera da 3mila addetti sul territorio. Il Governo italiano contesta la decisione dell’UE di assimilare plastiche e biolastiche, e le associazioni di categoria come Assobioplastica rimarcano la biodegradabilità dei prodotti. In particolare lamentano anche errori di impostazione della direttiva SUP, che non tiene in considerazione il tema del riuso, del design dei materiali e dell’economia circolare. Su questo tema è d’accordo anche Greenpeace, secondo cui è importante non solo la riduzione della plastica monouso, ma del monouso in generale. Ma rimane ferma nella condanna dei prodotti in plastica utilizzabili una sola volta, anche se biodegradabili.

"La plastica biodegradabile si ricicla, vietarne l'uso non aiuta l'ambiente"

La direttiva 

Primo obiettivo della normativa è la prevenzione del marine littering, cioè la dispersione di rifiuti nei mari e negli oceani. Per questo ha come target i prodotti monouso e gli imballaggi in plastica, che sono i prodotti che vengono trovati più spesso in acqua o sulle spiagge. Come l’Unione europea ha deciso di agire? Con restrizioni all’immissione sul mercato di alcuni beni, specificamente: bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie, posate, piatti, mescolatori, cannucce, aste per palloncini, contenitori per alimenti o bevande e relativi tappi. Tutti questi prodotti rientrano sotto l’ombrello dell’articolo 5 della direttiva, che appunto vieta agli Stati membri di introdurli sul mercato. Per contenitori per alimenti e bevande vale anche l’articolo 4, che obbliga i Ventisette ad adottare le misure necessarie per conseguire una riduzione ambiziosa e duratura del consumo.

La direttiva prevede anche degli obblighi di progettazione dei prodotti, all’articolo 6, che si applica solo ai contenitori per bevande: potranno essere messe in commercio unicamente se i loro tappi (pensiamo a quelli delle bottigliette d’acqua) o coperchi (quello delle tazze per il cappuccino da asporto) sono studiati e prodotti per rimanere sempre attaccati al contenitore. Un obbligo che si applica a partire dal 3 luglio 2024.

C’è poi l’obbligo di corretta etichettatura, previsto dall’articolo 7. La norma si applica ad assorbenti interni ed esterni e loro applicatori, salviette umidificate, prodotti del tabacco e filtri e sempre le solite tazze per bevande. Sulle etichette, che dovranno essere sufficientemente grandi e leggibili, dovrà essere indicato in modo chiaro la presenza di plastica nel prodotto e il conseguente danno ambientale se dovesse essere smaltito in modo sbagliato. Di conseguenza, l’etichetta dovrà anche indicare come gestirlo quando diventa rifiuto.

Sempre in tema di smaltimento dei rifiuti c’è l’articolo 9, che introduce specifici target per il riciclo delle bottiglie di plastica e dei loro tappi. In particolare per il 2025 c’è l’obiettivo del 77%, che sale al 90% entro il 2029. I target si misurano sul peso totale dei prodotti immessi sul mercato in un determinato anno.

Infine ci sono gli articoli 8 e 10: il primo estende al produttore la responsabilità e parte dei costi per la raccolta, il trasporto e il riciclo di alcuni prodotti. Il secondo invece introduce delle misure di sensibilizzazione e informazione dei consumatori, per incentivarli ad adottare un comportamento responsabile. I cittadini dovranno essere informati dell’esistenza di prodotti sostitutivi di quelli in plastica monouso e dell’impatto che la plastica ha sull’ambiente e sugli oceani se non smaltita correttamente.

L’impegno dell'Europa

L’Unione europea ha recepito il tema delle plastiche e della loro pericolosità se gettate nell’ambiente. A questo ha sicuramente contribuito la chiusura del mercato cinese ai rifiuti plastici dal 1 gennaio 2018. Per affrontare questo problema la Commissione europea ha stilato il suo primo Piano d’azione per l’economia circolare nel 2015, in cui l’economia circolare viene così definita: un sistema produttivo in cui “il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo”. In questo Piano l’intervento sulle materie plastiche era considerato prioritario.

Il passaggio successivo è stato, nel 2018, l’elaborazione della Strategia sulla plastica nell’economia circolare. Questa Plastic strategy prevede che entro il 2030 tutti gli imballaggi in plastica immessi sul mercato siano riutilizzabili e riciclabili. È stata l’apripista che ha portato alla Single Use Plastic e all’aggiornamento del Piano d’azione per l’economia circolare  del marzo 2020. Questo in particolare ha al suo centro la riduzione della produzione di rifiuti e del consumo di risorse naturali, che ben si inserisce nella filosofia del Green Deal europeo. Nel febbraio 2021 il Parlamento europeo ha approvato con 574 voti a favore, 22 contrari e 95 estensioni una risoluzione che invita la Commissione a rendere vincolanti (e non più volontari, come erano prima) gli impegni del Piano d’azione per l’economia circolare.

Esistono inoltre altre due iniziative europee che hanno come tema la plastica: la Sustainable product iniziative del settembre 2020, con cui la Commissione valuterà se introdurre principi di sostenibilità (come per esempio durabilità, riutilizzabilità e possibilità di fare upgrading) nella progettazione di prodotti che verranno immessi nel mercato europeo. La seconda iniziativa è il Regolamento UE n° 2020/852 sulla tassonomia per la finanza sostenibile adottato dal Parlamento europeo nel giugno 2020, che orienterà in modo decisivo le scelte di investimento pubbliche e private in modo coerente con gli obiettivi climatici e di riduzione del consumo di plastica.

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