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Lunedì, 25 Settembre 2023
EU4Future

"Così al Sud combattiamo le varianti del Covid. E sperimentiamo il vaccino italiano"

Prima la ricerca che ha accertato l'utilità del farmaco Pfizer contro il ceppo inglese del virus. Adesso i test per Reithera. Viaggio nei laboratori di Foggia in prima linea contro il coronavirus

Da quando ha iniziato a diffondersi la pandemia, tutti i centri di ricerca europei hanno dedicato parte del loro lavoro alla lotta contro il virus. Sono state fatte molte scoperte, che ci hanno permesso di portare avanti terapie e di avere finalmente vaccini utili. Una di queste scoperte viene dalla periferia dell’Unione europea. Siamo a Foggia, in Puglia.

L’istituto zooprofilattico di Foggia a inizio marzo ha certificato che il vaccino Pfizer è efficace sulla variante inglese del Covid-19.  Da questo centro di ricerca è arrivata una conferma importante per la campagna vaccinale: il siero Pfizer, il primo arrivato in Italia, si può usare come scudo contro la variante inglese del virus. “Siamo stati noi, personale sanitario già vaccinato, a fare da cavie, mettendo il nostro plasma a contatto con il virus”, spiega Domenico Galante, dirigente veterinario dell’Istituto zooprofilattico di Foggia. Sono state testate 12 persone del team, e la risposta è stata positiva: il vaccino di Pfizer è efficace contro la variante inglese. Da allora sono continuati i test e la ricerca.

Non è stata la prima occasione di confronto con il Coronavirus per l’istituto. “Siamo impegnati nella lotta al Covid da più di un anno” dice Galante. Da marzo 2020 il suo team ha iniziato a processare i tamponi molecolari e non si è mai fermato. Da settembre 2020, la Regione Puglia ha chiesto il loro supporto per la sieroneutralizzazione: “Valutiamo quali possono essere i donatori di plasma iperimmune validi, cioè le persone guarite dal Covid”, spiega Galante, “poi testiamo il loro plasma e diciamo a chi si occupa di creare le sacche di plasma quale devono usare”. In questo modo ai pazienti malati vengono trasmessi gli anticorpi di chi invece ha superato il Covid: secondo gli esperti, una delle poche armi terapeutiche che abbiamo a disposizione per curare i malati di Covid. Tra l’Istituto zooprofilattico e il Policlinico di Foggia è partita anche una collaborazione per valutare se i pazienti che dopo i 21 giorni dalla positività del tampone risultano avere ancora il virus sono ancora diffusori, e quindi se possono essere dimessi o no per liberare posti letto. 

Il vaccino made in Italy

Un altro importante tassello per la campagna vaccinale viene ancora da Foggia, e proprio dal Policlinico Riuniti: 900 volontari verranno infatti selezionati per le sperimentazioni del vaccino italiano Reithera, prodotto alle porte di Roma. I volontari selezionati sono prevalentemente giovani, tra i 20 e i 30 anni, ma anche tanti sessantenni. Un esperimento in doppio cieco: i volontari saranno divisi in tre gruppi, ognuno dei quali riceverà il vaccino completo, metà dose o un placebo, per poi confrontare i risultati. Ad alcuni pazienti è già stata iniettata la prima dose, ma l’obiettivo è di coinvolgere fino a trenta persone al giorno per poter presentare un vaccino sicuro in ottobre.  

I tempi sono molto stretti, e la campagna vaccinale deve procedere a ritmo spedito senza però mettere a rischio la sicurezza delle persone. "Immettere un farmaco in commercio senza aver fatto le dovute sperimentazioni con un numero idoneo di pazienti è rischioso dal punto di vista umano, sanitario e legale - spiega Galante - Allo stesso tempo è necessario produrre un gran numero di vaccini in grande quantità”. L’obiettivo di ogni campagna vaccinale è l’immunità di gregge che impedisca nuovi focolai. “Ottenere la messa in commercio di un farmaco richiede tempi lunghi - continua il dirigente veterinario dell’Istituto zooprofilattico di Foggia - Bisogna fare molti trial, la burocrazia non aiuta e ogni dato deve essere sottoposto a varie commissioni che valutano l’efficacia e anche la sicurezza. Da questo punto di vista l’Europa si è mossa bene”.

L'incubatore Hera

Uno dei rischi maggiori per la campagna vaccinale è il proliferare delle varianti del virus: in Europa preoccupano quelle inglese, brasiliana e sudafricana. Durante l’audizione al Parlamento europeo dei Ceo delle case farmaceutiche, i deputati hanno chiesto rassicurazioni sull’efficacia dei vaccini sulle varianti. Per prevenire il problema, invece di curarlo, l’Unione europea ha progettato Hera, un incubatore per monitorare le varianti, scambiare dati e cooperare tra Paesi membri. 

E per aumentare il ritmo nella produzione dei vaccini, l’Ue ha anche attivato una rete di networking tra aziende: l’obiettivo è consentire loro di stringere accordi e mettere in comune le singole tecnologie, per velocizzare i contatti tra le case farmaceutiche e le aziende che si occupano della diffusione in larga scala, e che quindi producono fisicamente il vaccino, riempiono le fiale o costruiscono gli strumenti utilizzati. Su 300 aziende selezionate, 34 sono italiane. 

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