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Giovedì, 25 Aprile 2024
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"Dalle case famiglia alla vita autonoma, così aiutiamo i ragazzi come noi dimenticati dallo Stato"

Intervista a Cecilia Dante, responsabile della rete europea Care Leavers Network

Hanno vissuto fuori famiglia, in case famiglia, comunità di accoglienza o affido familiare o extra-familiare. E sanno bene quanto è difficile uscire da questi luoghi quando si diventa maggiorenni e bisogna fare i conti con la vita fuori. Per questo, hanno messo in piedi un progetto con cui danno sostegno a ragazzi e ragazze per affrontare tale percorso di autonomia, in Italia e nel resto d'Europa. Parliamo del progetto Care Leavers Network, tra i finalisti del Premio cittadino europeo del Parlamento Ue. Abbiamo intervistato Cecilia Dante, project manager del programma.

Parlaci del tuo progetto: di cosa si tratta?

Il Care Leavers Network Italia è una rete promossa dall’associazione Agevolando, composta da ragazzi e ragazze tra i 16 e i 26 anni che vivono o hanno vissuto fuori famiglia, in case famiglia, comunità di accoglienza o affido familiare o extra-familiare, e che vengono coinvolti in un percorso di partecipazione e cittadinanza attiva. Il network si pone come macro-obiettivi due percorsi. Uno personale che consiste nel promuovere attività di scambio, riflessione e mutuo aiuto tra i ragazzi che hanno vissuto la stessa esperienza fuori famiglia. L’altro, di advocacy, consiste nel proporre suggerimenti e idee per migliorare le politiche e gli interventi, creare momenti di aggregazione e confronto e arricchimento reciproco tra i partecipanti, promuovere attività di formazione.

Come e quando nasce questo progetto?

Agevolando è nata nel 2010 a Bologna, dai care leavers per i care leavers, con l’obiettivo di promuovere l’autonomia, il benessere e la partecipazione attiva dei giovani che crescono fuori famiglia, soprattutto per i ragazzi che arrivati alla maggiore età si trovano a non avere più alcuna tutela da parte dello Stato e a dover intraprendere una vita di autonomia senza una famiglia o una rete di supporto alle spalle. Il progetto è stato avviato nel 2014: la prima conferenza regionale, a Bologna, ha visto la presentazione pubblica di dieci raccomandazioni nate da un confronto tra i ragazzi circa il loro percorso di accoglienza. Nel 2015 si è svolta la seconda conferenza regionale, poi nel 2017 si è aperto il network ad altre 5 regioni (Piemonte, Veneto, Trentino, Sardegna e Campania), e nel luglio dello stesso anno si è svolta la prima conferenza nazionale. Entro il 2019 il network si è allargato ad altre 7 regioni: Alto-Adige, Lombardia, Liguria, Lazio, Sicilia, Umbria e Puglia. Nel gennaio 2020 si è tenuta la seconda conferenza nazionale alla Camera dei deputati.

Chi sono i care leavers?

I care leavers sono i ragazzi che lasciano il sistema di cura e i percorsi di accoglienza eterofamiliare. In Italia avviene al compimento della maggiore età. Alcuni rientrano in famiglia, vengono affidati o vanno in adozione, per cui il percorso di accoglienza talvolta finisce prima, ma in generale a 18 anni il percorso del ragazzo viene interrotto, qualunque esso sia, a meno che non ci siano escamotage come prosegui amministrativi e quant’altro (porzioni molto ridotte di normativa che accompagnano il ragazzo tra i 18 e i 21 anni in un progetto di semi-autonomia). In Italia la media di età dei ragazzi quando escono dalla famiglia di origine per avviarsi ad un percorso di autonomia è di 30 anni, e in Europa è di 26: a loro viene richiesto di farlo a 18 anni, il che è ridicolo. In Italia sono circa 3000 i ragazzi che ogni anno escono dal sistema di cura.

Che attività proponete ai ragazzi?

Abbiamo 12 referenti regionali (coordinati da me), che si occupano direttamente dei gruppi di ragazzi nelle regioni. Il nostro lavoro si svolge su un doppio binario. C’è quello personale, che significa seguire i ragazzi personalmente, come gruppo, e quindi prendersi in carico la vita di questi ragazzi soprattutto dal punto di vista psicoemotivo. E poi c’è quello più pratico, agevolando progetti di inserimento lavorativo e abitativo. I focus group e i laboratori di storytelling sono i due strumenti principali della metodologia partecipata che utilizziamo per lavorare con i ragazzi. Proviamo a fare un lavoro di advocacy mettendo insieme tutte le esperienze dei ragazzi, perché chi meglio di loro può dire cosa non funziona nel sistema? Il nostro obiettivo è migliorare la vita dei ragazzi che verranno dopo di loro e che vivranno il loro stesso percorso di crescita fuori dalla famiglia.

Come pensi che questo progetto sia importante per l’Ue?

Io credo che il motivo per cui siamo arrivati in finale è che il network è presente in tutti i valori che vengono premiati come “modello”: l’integrazione tra le persone, la comprensione reciproca, la cooperazione transfrontaliera e la promozione dei valori e dei diritti fondamentali dell’Ue. In realtà tutto questo fa parte della nostra mission, per cui ci ha fatto molto piacere ottenere un riconoscimento europeo nel momento in cui stiamo partecipando a due progetti europei. Nel 2019 ne abbiamo concluso uno un po’ più grosso che ci ha portato ad avere contatti in altri paesi come l’Irlanda, l’Inghilterra, la Romania e la Croazia, poi ad allargare le frontiere. Ad esempio abbiamo avuto un contatto con un network africano, per confrontarci a livello europeo su come i care leavers possano crescere insieme e portare avanti i propri diritti.

Cosa credi ci sia ancora qualcosa da fare in questo settore?

C’è tanto da fare. I care leavers sono un target molto di nicchia: sono circa 30mila i ragazzi che vivono in un contesto di cura eterofamiliare. Penso che dovrebbero essere messe a punto delle strategie per sostenere economicamente le associazioni che si occupano dei care leavers e della transizione all’autonomia. A livello politico c’è un’interlocuzione aperta, una prima legge è stata approvata nel 2018 ed è una sperimentazione: sono stati stanziati 15 milioni di euro in tre anni per far sì che fosse avviata una sperimentazione per l’accompagnamento all’autonomia tra i 18 e i 21 anni, quindi questo è già un primo risultato.

Cosa vi aspetta in futuro? Avete acquisito visibilità dalla gara europea?

È ancora tutto in atto. È anche nata un’interlocuzione tra tutti i finalisti per fare qualcosa insieme, dove ci sono degli intenti comuni, ed è qualcosa che dovrebbe avvenire nei prossimi mesi. Ora stiamo collaborando con Unicef per un progetto che riguarda la child guarantee (contro la povertà e l’esclusione sociale infantile, ndr). Siamo uno dei sette Paesi della sperimentazione in cui far partire un confronto con i ragazzi per portare degli advocacy brief alla Commissione europea entro gennaio-febbraio per tutti i Paesi Ue, che entro il 2030 dovranno implementare questo programma. Nel contempo lavoriamo anche ad un altro progetto europeo (oltre i due che stiamo seguendo da un po'), e continuiamo con tutti i progetti nazionali.

Altre osservazioni?

Penso che ci sia bisogno di tanta sensibilizzazione per tutta la cittadinanza affinché non rimanga un problema di nicchia ma diventi qualcosa che fa parte di tutti i cittadini, perché venga riconosciuto da tutti i cittadini e non solo da coloro che se ne occupano e se ne interessano, ma che si inizi a parlare di care leavers anche a livello di cittadinanza italiana, qualcosa che fa parte della vita un po’ di tutti e non solo di quelli che la vivono o che la seguono perché ci lavorano.

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