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Venerdì, 29 Marzo 2024
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"Non chiamateli disabili, i nostri sono veri e propri chef pasticceri"

Intervista a Jacopo Corona, co-fondatore del progetto Frolla, che forma giovani diversamenti abili e li avvia al lavoro

Abbiamo parlato con Jacopo Corona, socio fondatore insieme a Gianluca Di Lorenzo del progetto Frolla, vincitore del premio Cittadino europeo 2021. Frolla è una cooperativa sociale di Osimo, in provincia di Ancona, che si occupa dell’inserimento lavorativo nel campo della pasticceria dei ragazzi con disabilità, nata quattro anni fa da un’idea dei due fondatori, uno pasticcere e l’altro operatore sociale. 

Jacopo, cos'è il progetto Frolla?
Prima del Covid avevamo aperto un bar ed eravamo pronti ad aprire il secondo. Stavamo per partire con l'apertura di punti vendita diretti. Poi è scoppiata la pandemia e abbiamo ragionato su come venirne fuori, perché essendo stati in attività solo da un anno e mezzo è stata molto dura, inoltre eravamo vicini alla Pasqua e dovevamo assolutamente svuotare il magazzino. Da lì abbiamo iniziato a lavorare molto sui social, e oggi l’e-commerce è il nostro cavallo di battaglia: abbiamo clienti in tutta Italia, abbiamo un rapporto diretto con loro e spediamo i prodotti direttamente a casa. Bartolo ha apprezzato il lavoro che facciamo, e ha pensato di candidare la nostra cooperativa per il premio del cittadino europeo. Ci è sembrato totalmente assurdo. Quando è arrivata l’email del Parlamento europeo abbiamo addirittura pensato fosse uno scherzo, invece ci stavano comunicando la nostra vittoria. Da lì poi la situazione è esplosa, perché questo ci ha dato una grande visibilità e ci ha aperto dei canali incredibili, con un sacco di contatti oltre ovviamente a tanti nuovi clienti.

Come pensi che questo progetto sia importante per l’Ue?

Noi puntiamo sulla qualità del prodotto, non vogliamo vendere la pena dei ragazzi. L’obiettivo principale è la qualità, mentre il discorso sulla disabilità è un aspetto in qualche modo secondario. Siamo fondamentalmente una società di servizi, forniamo un servizio utile perché l’inserimento di questi ragazzi nel mondo del lavoro è rivolto a tutta la società, non solo alle cooperative. Vogliamo comunicare che la disabilità è una parte integrante della società, della vita di tutti. E il nostro messaggio è anche imprenditoriale: se riusciamo a essere sul mercato con una società che all’interno ha solo ragazzi classificati come soggetti con difficoltà, e riusciamo a fare un prodotto di qualità, perché non possono farlo anche altri? Noi vorremmo che tante altre persone seguissero questa idea. Credo che il Parlamento abbia riconosciuto anche questo nel nostro messaggio, che alla fine è un messaggio di inclusione.

Pensi che ci siano ancora passi da fare nel rapporto con la disabilità?

Non credo di avere le competenze per dire se c’è bisogno di qualcosa di più o di meno. Semplicemente penso che ci sia bisogno di qualcosa di più normale: qualcosa che non venga classificato, che non venga ghettizzato. Noi tendiamo sempre a fare classifiche e categorizzazioni, ma alla fine siamo tutti parte della stessa società, della stessa Europa, di un concetto più grande che è il mondo. Il punto è trattare certi argomenti con più normalità, come una cosa che fa parte anche di noi stessi. E questo è un problema anche del mondo dell’informazione, che tende spesso a usare parole forti, come “l’immigrato” o “il disabile”, per catturare l’attenzione. È questo che va reso più normale e non va strumentalizzato.

Cosa vedi nel futuro di Frolla?

Frolla parte dal biscotto, ma nel tempo ci siamo evoluti e abbiamo aperto due “Diversamente bar”, dove facciamo caffetteria e somministrazione dei nostri prodotti. Il nostro ultimo progetto si chiama “Frollabus”: è un terzo bar che però non avrà sede fissa ma sarà mobile, un food-truck con cui porteremo le nostre colazioni in giro per l’Italia. Siamo contenti perché Frolla in questi tre anni è cresciuta moltissimo, sia come organico (oggi siamo 25 persone) che come produttività e fatturati. Dietro c’è un gran lavoro, ci sono tante persone e c’è soprattutto la parola condivisione. C’è un senso di community, di famiglia come la chiamiamo noi, che è il vero valore aggiunto. Siamo tante persone con tante esperienze diverse, che si sono messe in gioco e hanno semplicemente condiviso qualcosa.

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