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Giovedì, 28 Marzo 2024
Freno alla transizione?

Il Trattato sull'energia che rischia di costare caro all'Italia (anche se ne è fuori)

Nato negli anni '90, l'Ue vorrebbe riformarlo. Ma il nuovo testo non risolve il rischio per i governi di risarcimenti miliardari a favore dei big del fossile

Nel 2016, l'Italia ha annunciato, e attuato, l'uscita dal Trattato sulla carta dell'energia (Tce), un accordo tra una cinquantina di Stati membri siglato negli anni '90 per tutelare gli investimenti dei giganti del settore fossile. Il nostro Paese fu in qualche modo precursore in Europa: in queste settimane, altri Stati Ue, dalla Francia alla Germania, hanno annunciato il loro ritiro dal Trattato. Il motivo della fuga? In base al Tce, le multinazionali del settore possono citare in giudizio i governi e chiedere maxi risarcimenti se si sentono danneggiati da una legge o da una misura amministrativa. Un rischio sempre più concreto tra l'addio alla dipendenza energetica dalla Russia e l'accelerazione sulla transizione ecologica. Ma ritirarsi dal Trattato potrebbe non bastare: la Commissione europea, infatti, sta negoziando una riforma del Tce che potrebbe aiutare i big del fossile. Anche in Italia.

Proprio in questi giorni, Bruxelles si sarebbe dovuta sedere al tavolo della Conferenza della carta dell'energia, l'organo di governo del Trattato, per negoziare gli emendamenti al testo originario, firmato nel '94. Ma Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi non hanno dato il loro assenso alla Commissione a fare andare avanti i negoziati. Il succo del problema è il sistema di arbitrato privato che consente di regolare le controversie tra multinazionali energetiche e Stati al di fuori dei tribunali nazionali. 

Il tribunale internazionale

Il Trattato prevede infatti l'Isds (Investor-state dispute settlement), un meccanismo di arbitrato privato che consente alle società energetiche che ritengono di essere state ingiustamente penalizzate da un provvedimento di uno Stato membro di chiedere e ottenere dei risarcimenti. Si tratta di un meccanismo che era salito alla ribalta qualche anno fa, quando venne inserito nella bozza del Ttip, l'accordo commerciale tra Ue e Usa saltato anche per i dubbi sui rischi e la legalità dell'Isds.

Tali dubbi sono stati sollevati da più parti anche per il Trattato sulla Carta dell'energia, e non da ora: da anni si dibatte su come riformare il trattato, ma il testo di revisione attualmente sul tavolo dei Paesi membri è stato accusato di proteggere ancora una volta gli interessi dei signori del fossile a danno delle casse pubbliche. E dell'ambiente. Secondo l'ultimo rapporto dell'Ippc dell'Onu, il Trattato è un rischio per la transizione energetica. Can Europe, network che riunisce le principali organizzazioni ambientaliste europee, ritiene che la riforma, anziché migliorare le tutele per governi e cittadini, "aumenterebbe il rischio di rivendicazioni arbitrali contro gli Stati che impongono per legge la transizione al 100% di energia rinnovabile".

Miliardi di risarcimenti

I precedenti sembrano dare ragione a queste preoccupazioni. La società energetica tedesca Rwe, per esempio, ha citato in giudizio i Paesi Bassi, chiedendo un risarcimento di 1,4 miliardi di euro per i piani del governo olandese di eliminazione graduale del carbone. La Germania, per evitare simili problemi, ha accettato nel 2020 di sganciare 4,35 miliardi di euro alle sue aziende energetiche, come compensazione per la fuoriuscita graduale dal carbone. Non sfugge a tali rischi neppure l'Italia, nonostante sia uscita dal Trattato: una clausola (cosiddetta "zombie") prevede che gli investimenti siano protetti anche per i 20 anni conseguenti al ritiro di un membro dall'accordo. Ne ha approfittato la Rockhopper Exploration, con sede nel Regno Unito, che ha portato alla sbarra il governo italiano per aver vietato nuove perforazioni vicino alla costa in Abruzzo, e chiede 250 milioni di euro di danni. Si tratta di una delle sei cause pendenti nei confronti dell'Italia nel quadro del Tce.

Green deal a rischio

Una recente sentenza della Corte di giustizia dell'Ue ha dichiarato che il diritto comunitario viene prima del Trattato. Tale sentenza è stata salutata dagli ambientalisti come un successo. Ma un conto è il giudizio specifico della Corte, un'altra l'applicazione concreta. In totale, il segretariato del Trattato ha registrato 145 azioni legali aperte fino al 2021: i risarcimenti richiesti arrivano a circa 170 miliardi di euro. "Ma il numero reale potrebbe essere più elevato: i ricorrenti non sono obbligati a rendere note le cause", scrive il consorzio di giornalisti Investigative Europe. Alcuni esperti e attivisti, citati dal Guardian, hanno calcolato che l'Isds "potrebbe consentire alle aziende di citare in giudizio i governi per circa 1,3 trilioni di euro fino al 2050 a titolo di risarcimento per la chiusura anticipata di impianti a carbone, petrolio e gas". In altre parole, i piani dell'Ue per il Green deal rischiano di venire azzoppati in tribunale. 

La riforma

Nel tentativo di allineare il trattato con l'agenda verde dell'Ue, la Commissione europea ha proposto un testo riformato che avrebbe ridotto la controversa clausola "zombie" a 10 anni per i vecchi investimenti e a soli nove mesi per i nuovi progetti energetici. Ma questa proposta non convince tutti i Paesi europei, e per il momento la riforma resta in stallo. Il problema, però, è che senza una riforma complessiva, le vecchie regole restano in vigore. Compresa la clausola zombie ventennale, che peserà ancora per anni sull'Italia. Sembra un cul de sac, ma secondo Olivier De Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, una soluzione c'è: bisogna bloccare qualsiasi tipo di riforma, ritirare l'Ue dal Trattato e sfruttare "gli accordi inter-se, che neutralizzerebbero gli effetti della clausola (zombie, ndr) e consentirebbero all'Ue e potenzialmente ad altri firmatari del Tce ​​di porre fine prima alla protezione del Trattato".

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