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Giovedì, 25 Aprile 2024
Energy Charter

Il tetto ai prezzi del gas potrebbe costarci caro: tutta colpa di un trattato del secolo scorso

Risale al 1994 e i big dell'energia fossile lo usano da tempo per chiedere risarcimenti miliardari agli Stati Ue (Italia compresa). E bloccare la transizione ecologica

L'idea di mettere un freno all'aumento delle bollette fissando un tetto ai costi all'ingrosso del gas, un "price cap", sta diventando sempre più popolare tra i governi dell'Ue, tanto più dopo che le minacce della Russia di tagliare le forniture stanno facendo risalire i prezzi. Chi si oppone, finora, ha sollevato il rischio di compromettere il libero funzionamento del mercato, spingendo le imprese energetiche a vendere il gas altrove e lasciare l'Europa senza scorte. Ma in questi giorni a Bruxelles sta emergendo un problema ben più concreto: il rischio che, applicando un price cap, gli Stati potrebbero venire portati in tribunale dai giganti dell'energia fossile. E ritrovarsi a dover pagare risarcimenti milionari. Il motivo? Un oscuro trattato risalente al 1994.

Cos'è il Trattato

Si chiama "Trattato sulla Carta dell'energia" e fu siglato all'indomani della dissoluzione dell'Urss con lo scopo di regolare i rapporti in campo energetico tra gli Stati dell'allora comunità europea e quelli dell'ex blocco sovietico, tutelando gli investimenti delle imprese e la sicurezza delle forniture dai ricchi giacimenti dell'Est per i Paesi aderenti. Oggi, il Trattato contempla 53 membri, tra cui, oltre a 26 Paesi Ue (l'Italia è l'unica ne è uscita nel 2016), ci sono anche il Regno Unito, la Turchia, il Giappone e la Svizzera. Tra gli "osservatori" compaiono gli Stati Uniti e la Russia. 

Lo scopo originario della Carta, lanciata dall'allora premier olandese Ruud Juppers, era di proteggere gli Stati Ue da potenziali ricatti energetici da parte degli oligarchi del gas, del petrolio e del carbone dell'Est. Ma con il tempo, i principali grattacapi per i governi europei sono arrivati proprio dalle imprese occidentali. Il Trattato prevede infatti l'Ids, Investor-state dispute settlement, un meccanismo di arbitrato privato che consente alle società energetiche che ritengono di essere state ingiustamente penalizzate da un provvedimento di uno Stato membro di chiedere e ottenere dei risarcimenti. Si tratta di un meccanismo che era salito alla ribalta qualche anno fa, quando venne inserito nella bozza del Ttip, l'accordo commerciale tra Ue e Usa saltato anche per i dubbi sui rischi e la legalità dell'Isds.

La riforma

Tali dubbi sono stati sollevati da più parti anche per il Trattato sulla Carta dell'energia, e non da ora: da anni si dibatte su come riformare il trattato, ma il testo di revisione attualmente sul tavolo dei Paesi membri, e che dovrebbe venire approvato nei prossimi giorni, è stato accusato di proteggere ancora una volta gli interessi dei signori del fossile a danno delle casse pubbliche. E dell'ambiente. Secondo l'ultimo rapporto dell'Ippc dell'Onu, il Trattato è un rischio per la transizione energetica. Can Europe, network che riunisce le principali organizzazioni ambientaliste europee, ritiene che la riforma, anziché migliorare le tutele per governi e cittadini, "aumenterebbe il rischio di rivendicazioni arbitrali contro gli Stati che impongono per legge la transizione al 100% di energia rinnovabile".

Miliardi di risarcimenti

I precedenti sembrano dare ragione a queste preoccupazioni. La società energetica tedesca Rwe, per esempio, ha citato in giudizio i Paesi Bassi, chiedendo un risarcimento di 1,4 miliardi di euro per i piani del governo olandese di eliminazione graduale del carbone. La Germania, per evitare simili problemi, ha accettato nel 2020 di sganciare 4,35 miliardi di euro alle sue aziende energetiche, come compensazione per la fuoriuscita graduale dal carbone. Non sfugge a tali rischi neppure l'Italia, nonostante sia uscita dal Trattato: una clausola (cosiddetta "zombie") prevede che gli investimenti siano protetti anche per i 20 anni conseguenti al ritiro di un membro dall'accordo. Ne ha approfittato la Rockhopper Exploration, con sede nel Regno Unito, ha portato alla sbarra il governo italiano per aver vietato nuove perforazioni vicino alla costa in Abruzzo, e chiede 250 milioni di euro di danni. 

Green deal a rischio

Una recente sentenza della Corte di giustizia dell'Ue ha dichiarato che il diritto comunitario viene prima del Trattato. Tale sentenza è stata salutata dagli ambientalisti come un successo. Ma un conto è il giudizio specifico della Corte, un'altra l'applicazione concreta. In totale, il segretariato del Trattato ha registrato 145 azioni legali aperte fino al 2021: i risarcimenti richiesti arrivano a circa 170 miliardi di euro. "Ma il numero reale potrebbe essere più elevato: i ricorrenti non sono obbligati a rendere note le cause", scrive il consorzio di giornalisti Investigative Europe. Alcuni esperti e attivisti, citati dal Guardian, hanno calcolato che l'Isds "potrebbe consentire alle aziende di citare in giudizio i governi per circa 1,3 trilioni di euro fino al 2050 a titolo di risarcimento per la chiusura anticipata di impianti a carbone, petrolio e gas". In altre parole, i piani dell'Ue per il Green deal rischiano di venire azzoppati in tribunale. 

Il nodo price cap

Ma c'è un altro elemento che preoccupa i governi, ed è più di attualità: la proposta di fissare un tetto al prezzo del gas, avanzata dall'Italia, rischia di finire nel tritacarne dell'Isds. "Gli standard di investimento internazionali, in particolare lo standard di trattamento equo e giusto, potrebbero proteggere gli investitori stranieri nella produzione di elettricità dall'introduzione di price cap o dalla ri-regolamentazione dei prezzi dell'elettricità liberalizzati", sostiene Anatole Boute, professore olandese dell'Università cinese di Hong Kong. Ecco perché la questione della riforma si sta intrecciando a doppio filo con la crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina. 

Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia e Spagna hanno già incaricato la commissione di studiare come l'Ue possa ritirarsi dal Trattato, magari evitando di incappare nella "clausola zombie". In parallelo, un gruppo di attivisti ha presentato un'azione legale alla Corte europea dei diritti umani contro il Trattato: "Non è accettabile che l'industria dei combustibili fossili sia ancora oggi più protetta dei nostri diritti umani", ha detto una dei ricorrenti, Julia, studentessa tedesca di 17 anni che ha perso la casa durante l'inondazione della scorsa estate.

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