Salario minimo: arriva l’ok del Parlamento europeo
L’Eurocamera ha approvato in via definitiva la nuova legislazione. La relatrice Jongerius: "La gente fa fatica ad arrivare a fine mese. Non abbiamo tempo da perdere, il lavoro deve tornare a pagare"
Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la direttiva sul salario minimo. La regolamentazione, approvata con 505 voti favorevoli, 92 contrari e 44 astensioni, definisce i requisiti essenziali per l’adeguatezza dei salari minimi. Titti i deputati italiani hanno votato a favore del testo. Adesso la palla passa al Consiglio Ue, che dovrebbe approvare formalmente l'accordo a settembre, dopodiché il testo sarà legge. I Paesi Ue disporranno di due anni di tempo per conformarsi alla direttiva.
“I prezzi dei generi alimentari, delle bollette energetiche e degli alloggi stanno esplodendo. La gente fa davvero fatica ad arrivare a fine mese. Non abbiamo tempo da perdere, il lavoro deve tornare a pagare. Questa direttiva stabilisce gli standard per un salario minimo adeguato. Allo stesso tempo, stiamo dando un impulso alla contrattazione collettiva, in modo che un maggior numero di lavoratori sia maggiormente tutelato", ha dichiarato la socialista olandese, Agnes Jongerius, relatrice del testo dopo il voto.
Cosa prevede la direttiva
La definizione del livello del salario minimo rimarrà di competenza dei singoli Stati membri, i quali dovranno però garantire che questi consentano ai lavoratori una vita dignitosa, tenendo conto del costo della vita e dei più ampi livelli di retribuzione. Per quanto riguarda la valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi garantiti esistenti, i Paesi Ue potranno determinare un paniere di beni e servizi a prezzi reali, o fissarlo al 60% del salario mediano lordo e al 50% del salario medio lordo. Secondo questi criteri, in Italia, dove manca un salario minimo universale, la platea interessata da un aumento della retribuzione potrebbe ammontare a 2 milioni di lavoratori.
Al fianco o in alternativa al salario minimo, gli Stati membri dovranno impegnarsi a promuovere e rafforzare la contrattazione collettiva, purché tale contrattazione consenta di raggiungere i criteri fissati per il salario minimo. Gli Stati membri in cui meno dell'80% dei lavoratori è interessato dalla contrattazione collettiva, dovranno - insieme alle parti sociali - stabilire un piano d'azione per aumentare tale percentuale. La direttiva prevede inoltre l'obbligo per i Paesi membri di "garantire il diritto al ricorso per i lavoratori i cui diritti sono stati violati".
Gli effetti della direttiva Ue sui salari italiani
Il testo introduce anche "l'obbligo per i Paesi dell'Ue di istituire un sistema di applicazione, compresi monitoraggio, controlli e ispezioni sul campo affidabili, per garantire la conformità e affrontare i subappalti abusivi, il lavoro autonomo fittizio, gli straordinari non registrati o l'aumento dell'intensità di lavoro", scrive il Parlamento Ue.
La nuova direttiva si applicherà a tutti i lavoratori dell'Ue con un contratto o un rapporto di lavoro. I Paesi Ue in cui il salario minimo gode già di protezione, grazie ai contratti collettivi, non saranno tenuti a introdurre queste norme o a rendere gli accordi già previsti universalmente applicabili. Tra questi c'è anche l'Italia, ma in realtà non è ancora chiaro se il nostro tipo di contrattazione collettiva sarà ritenuta sufficiente a evitare l'entrata in vigore della direttiva o se serviranno comunque alcune modifiche alla nostra legislazione.
"Il sistema di contrattazione collettiva presente in Italia già risponde ai requisiti della direttiva poiché la copertura supera ampiamente l’80% indicato dall’Ue", hanno sostenuto in una nota le europarlamentari della Lega Elena Lizzi e Stefania Zambelli, secondo cui l'Italia dovrebbe piuttosto "lavorare per contrastare i contratti ‘pirata’ e quelli fonte di dumping salariale", e vanno "promossi ora contrattazione collettiva e di secondo livello e taglio del cuneo fiscale, strumenti in grado di garantire eque retribuzioni e una vita dignitosa a lavoratori e famiglie, che stanno affrontando una ondata inflazionistica pesante”.
Nell'Ue, 21 Paesi su 27 hanno un salario minimo garantito, mentre gli altri sei (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) determinano i livelli salariali sulla base della contrattazione collettiva delle retribuzioni. Secondo i più recenti dati Eurostat, un lavoratore su sei nell'Unione europea percepisce un salario relativamente basso (cioè inferiore ai 2/3 della retribuzione oraria lorda mediana nazionale).