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Martedì, 16 Aprile 2024
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In 16 regioni il Pil è fermo dal 2000: così l'Italia ha bruciato 90 miliardi di fondi Ue

Mentre i Paesi dell’Est stanno colmando il divario con le economie più forti del continente, il Belpaese è in una profonda crisi di crescita

Tanti fondi, niente crescita. Non si può certamente dire che l’Europa e l’Italia non abbiano garantito i soldi per consentire alle regioni di mettersi al passo con i tassi di crescita economica Ue. I fondi per la coesione assegnati da Bruxelles al Belpaese per il periodo 2000-2020 ammontano infatti a 92,5 miliardi. Se si tiene conto anche dei cofinanziamenti arrivati dagli enti locali e dallo Stato italiano si superano ampiamente i 300 miliardi di euro dedicati allo sviluppo delle aree in ritardo rispetto al resto d'Europa. Ciononostante, sedici delle venti regioni italiane, nel periodo 2001-2019, hanno registrato un tasso di crescita medio di Pil pro capite a prezzi costanti inferiore allo 0%.

La performance che vale all’Italia la maglia nera per la crescita economica - una nota di demerito che il Belpaese condivide con la sola Grecia - è emersa nell’ottava relazione Ue sulla politica per la coesione. Si tratta della voce di spesa del bilancio europeo destinata alla promozione di uno sviluppo territoriale più equilibrato e sostenibile tra le regioni Ue. Il concetto è semplice, si danno più fondi alle regioni in ritardo e meno a quelle in vantaggio con l’obiettivo di andare verso una convergenza economica. Chi ha usato meglio questi fondi negli ultimi vent’anni sono stati i Paesi dell’Est Europa, dimostrandosi capaci di recuperare terreno rispetto a quelli occidentali e “determinando una sostanziale riduzione del divario del Pil pro capite”, si sottolinea nella relazione

italia Pil

Al contempo, “diverse regioni a reddito medio e meno sviluppate, soprattutto nell'Ue meridionale, hanno sofferto di una stagnazione o di un declino economico”. Tra queste ci sono ben sedici regioni italiane e la provincia autonoma di Trento che nel ventennio 2001-2019 hanno registrato una crescita media inferiore allo 0% rispetto all'anno precedente. A salvarsi dal burrone della decrescita sono state solo la Lombardia, l'Emilia-Romagna e la Basilicata, che hanno registrato una crescita media del Pil pro capite compresa tra lo 0 e lo 0,5%. Una crescita leggermente superiore si è invece registrata nella sola provincia autonoma di Bolzano, dove l'aumento della ricchezza media nel ventennio considerato è stata superiore allo 0,5%, ma senza andare oltre il +0,75%. 

Il Pil italiano in termini assoluti è cresciuto nel primo ventennio degli anni 2000, passando da circa 1.200 a 1.770 miliardi di euro nel 2019 (l’ultimo dato prima della pandemia). Tuttavia il Pil pro capite a prezzi costanti era pari a 27.950 euro nel 2001 ed è poi calato a 27.210 nel 2019. 

Eppure le risorse per la coesione, se spese e utilizzate bene, avrebbero potuto permettere alle regioni italiane almeno di attenuare la controtendenza rispetto ai tassi di crescita medi dell’Ue. I fondi totali, sia statali che europei, assegnati dal 2014 al 2020 ammontano infatti 125,1 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti i 74,1 miliardi stanziati dal 2007 al 2013 e i 183,6 miliardi messi a disposizione dal 2000 al 2006. Una somma totale superiore ai 380 miliardi che, alla luce dei risultati, è legittimo chiedersi dove sia andata a finire.

Pur non rispondendo al quesito, la relazione presentata dalla Commissione europea offre uno spunto interessante sull’Indice europeo della qualità del governo. Come evidenziato dalla mappa, le regioni italiane più in ritardo rispetto all’Europa, e per questo destinatarie di maggiori fondi per la coesione, sono anche quelle peggio amministrate dell’Unione, a pari (de)merito con varie regioni bulgare, rumene e greche. Difficile si tratti di una mera coincidenza.

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