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Giovedì, 28 Marzo 2024
Green deal

Bruxelles lancia il piano per l'industria verde, ma è già tutti contro tutti

Le proposte della Commissione per rispondere alla concorrenza di Usa e Cina criticate da destra, sinistra ed ecologisti. Mentre gli Stati litigano su fondo comune e aiuti pubblici

Permessi più rapidi per i nuovi impianti eolici e fotovoltaici. Un maxi piano per formare milioni di persone alle competenze necessarie per la doppia transizione, ecologica e digitale. Accordi di libero scambio mirati alle filiere delle materie prime critiche, in particolare quelle per le batterie delle auto. Ma soprattutto lo sblocco di maggiori investimenti attraverso due strade: la prima (e più immediata) passa dall'allentamento dei limiti Ue sugli aiuti di Stato (misura cara a Germania e Francia). Le seconda (ancora da definire) riguarda la creazione di un nuovo fondo comune, il fondo di sovranità, richiesto da Italia e Spagna. Sono questi i principali aspetti del Piano industriale per il green deal presentato oggi dalla Commissione europea. Un piano che sta già mettendo i governi Ue l'uno contro l'altro. E che si è già attirato critiche da più fronti, dagli ambientalisti al centrodestra, passando per il centrosinistra. 

La risposta a Usa e Cina

Il piano nasce in risposta non solo alla crisi energetica in corso, ma anche alle mosse degli Stati Uniti e della Cina per promuovere e proteggere le proprie industrie sulla scena mondiale. La competitività dell'Europa è a rischio, un problema noto da tempo, ma sul quale Ue e Stati membri hanno agito finora in modo frammentato. Il piano lanciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha l'ambizione di creare un quadro unico di iniziative, regole e investimenti perché l'Europa guidi "la rivoluzione della tecnologia pulita" a livello mondiale. Il problema, però, è mettere d'accordo i governi Ue su come finanziare questa rivoluzione. Un problema non da poco che rischia di sta facendo riaffiorare le tensioni e le divisioni viste a Bruxelles nei primi mesi della pandemia di Covid-19.

Il piano di von der Leyen

Come con la crisi del coronavirus, il dilemma è come immettere risorse fresche nell'economia. Per i Paesi che hanno grandi disponibilità di cassa e conti in ordine il problema non è tanto dove trovare queste risorse, quanto come evitare i limiti imposti dalle regole Ue sugli aiuti di Stato. Già durante la pandemia, Bruxelles aveva allentato queste regole: il risultato è stato che a fine 2022, in tutto il blocco, erano state autorizzate sovvenzioni pubbliche pari a 540 miliardi di euro. Il fatto è che quasi la metà degli aiuti è stato concesso dalla Germania alle sue imprese. Un altro 30% è stato investito dalla Francia. Il restante 20% è stato diviso dagli altri 25 Paesi membri, con l'Italia che ha coperto una fetta del 4,7%.

Gli aiuti di Stato

La prima proposta concreta di von der Leyen nell'ambito del suo piano industriale è un ulteriore allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che, se attuato, sarebbe valido fino alla fine del 2025. La bozza presentata oggi prevede deroghe alle norme per gli investimenti in energie rinnovabili, per la decarbonizzazione dei settori più inquinanti e per la produzione di attrezzature fondamentali per la transizione come batterie e pannelli solari. La proposta, già annunciata in precedenza, ha fatto scattare la protesta di un fronte variegato di governi, in particolare dall'Italia, che ha presentato un documento in cui contesta questa "corsa" a "sussidi generici ed indiscriminati", che avvantaggerebbe gli Stati "con maggiore margine di bilancio o maggiori possibilità di sottoscrivere debito a condizioni vantaggiose".

Il fondo di sovranità

Il muro dell'Italia potrebbe anche essere una strategia connessa all'altra battaglia cardine che si profila all'orizzonte di Bruxelles, quella sul cosiddetto fondo di sovranità, ossia un nuovo strumento comune per gli investimenti. Nei mesi scorsi, i commissari di Italia e Francia, Paolo Gentiloni e Thierry Breton, avevano suggerito a mezzo stampa di rispolverare il Sure, il fondo varato prima del Recovery fund che prevedeva 200 miliardi di euro di prestiti agevolati raccolti dall'Ue attraverso l'emissione di eurobond per sostenere le imprese ed evitare licenziamenti. Per il nostro Paese, a causa del suo debito pubblico, questa modalità di finanziamento ha il vantaggio di ottenere prestiti a costi minori rispetto a quelli che sosterrebbe emettendo direttamente i propri titoli di Stato. Ma l'idea di un nuovo Sure è stato bocciata da von der Leyen, almeno per quanto riguarda le finalità: la questione centrale oggi, ha spiegato, non è finanziare le imprese perché non licenzino, ma trovare il personale qualificato che manca sempre più in Europa. 

Cosa sarà dunque questo nuovo fondo di sovranità, sempre che prenderà vita, resta un mistero: nel piano si legge che tale strumento verrà presentato "nell'ambito della revisione del quadro finanziario pluriennale prima dell'estate 2023". Germania e Olanda hanno già fatto sapere di essere contrarie. L'Italia, invece, è pronta a dare battaglia per controbilanciare lo strapotere di Berlino sugli aiuti di Stato. Nel frattempo, von der Leyen ha spiegato che le risorse "ponte" per indirizzare gli investimenti verso gli obiettivi del green deal saranno i 250 miliardi del RePowerEU, il piano anti crisi energetica varato da Bruxelles a maggio in risposta all'invasione dell'Ucraina. Peccato che il RePowerEU sia composto da fondi già esistenti nel bilancio Ue e da pezzi del Pnrr, senza nuove risorse fresche (soprattutto per l'Italia). 

È già tutti contro tutti

Su aiuti di Stato e fondo di sovranità la battaglia tra i governi Ue è già partita. Almeno 11 Paesi criticano un ulteriore rilassamento delle regole sulle sovvenzioni pubbliche. Tra questi c'è anche l'Olanda, che a sua volta sostiene la Germania nel bloccare il nuovo fondo comune. In tutto questo, von der Leyen si ritrova sotto il fuoco incrociato dei partiti della sua maggioranza. Il Ppe, che rappresenta i moderati del centrodestra e che sta seguendo sempre più una strategia di dialogo con i conservatori europei di Giorgia Meloni, critica la mancanza di incentivi per "le piccole e medie imprese", ma solo per l'industria. Il centrosinistra, per voce dei socialisti e democratici, lamenta invece la mancanza di misure per aiutare le famiglie e i lavoratori che saranno più esposti alla transizione ecologica. Persino gli ecologisti, riuniti nella lobby europea di Can Europa, hanno espresso dubbi sul piano, criticando, tra le altre cose, la mancanza di uno stop chiaro alle fonti fossili e pochi investimenti per le imprese green. 

I nodi della rivoluzione

Al netto delle questioni su come finanziarie il piano, l'Europa ha un doppio problema comune da affrontare: la carenza di materie prime e quella di personale qualificato. La proposta della Commissione si focalizza su entrambe le questioni e annuncia misure per favorire da un lato gli investimenti nella formazione (e nella riqualificazione professionale), e dell'altro per indirizzare le trattive sugli accordi di libero scambio per accaparrarsi le materie prime critiche, come il litio per esempio. Prima che Cina e Usa monopolizzino lo sfruttamento di questi giacimenti nel mondo.
 

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