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Giovedì, 28 Marzo 2024
Energia / Paesi Bassi

Perché l'Olanda si rifiuta di pagare il gas russo in rubli, e l'Italia no

I Paesi Bassi non intendono rispettare il decreto di Putin e rinunciano alle forniture di Gazprom. Una strategia opposta a quella di Eni

L'olandese GasTerra, controllata dallo Stato, non ha accettato di pagare in rubli il gas fornito dalla Russia così come imposto da un decreto del Cremlino per rispondere alle sanzioni occidentali. La risposta di Mosca non si è fatta attendere: Gazprom, il gigante del gas russo, ha annunciato lo stop ai rifornimenti olandesi, che a oggi ammontano a circa il 15% del fabbisogno di oro azzurro del Paese. Ma la contromossa di Vladimir Putin non spaventa più di tanto il governo di Mark Rutte. Mentre GasTerra rivendica la decisione spiegando che pagare in rubli rischierebbe di violare le sanzioni dell'Ue e comporterebbe "troppi rischi finanziari e operativi", in gran parte a causa dell'apertura di conti in Russia che sarebbero sotto il controllo di Mosca. Tutto il contrario di quanto sostenuto dall'Italia e dalla Germania, che invece hanno autorizzato le loro compagnie, nel nostro caso l'Eni, a seguire il decreto del Cremlino.

Non è chiaro come la Commissione europea valuterà le due strategie. Finora, quella olandese è sembrata più in linea con le dichiarazioni di Bruxelles, che ha più volte ventilato l'ipotesi di una procedura d'infrazione contro chi viola le sanzioni alla Russia. Ma soprattutto, i Paesi Bassi stanno dando una mano alla Commissione nell'inviare un messaggio al resto d'Europa: eliminare la dipendenza dal gas di Mosca è possibile. Il che è vero nel caso olandese, ma non è detto che possa valere per tutti. 

Il caso olandese

I Paesi Bassi, infatti, pur essendo tra gli Stati Ue che più utilizzano il gas naturale per alimentare case e imprese, ne sono anche produttori. Fino al 2015, l'Olanda esportava più gas di quello che importava. Merito soprattutto del maxi-impianto di Groningen, che nel periodo d'oro produceva fino a 50 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno (un terzo di quello che tutta l'Ue importa dalla Russia, per fare un raffronto). L'impianto ha però cominciato a dare dei problemi non da poco al territorio circostante, provocando terremoti che hanno costretto le autorità a ridurre progressivamente l'estrazione fino ad annunciare la chiusura nel 2023.

Chiusura che, con le turbolenze sul fronte russo, potrebbe slittare. Nel 2020, l'Olanda ha continuato a vendere gas (tra gli acquirenti c'è anche l'Italia), ma le importazioni hanno cominciato a pesare di più sul bilancio pubblico, superando l'export. Tra le forniture dall'estero, ci sono 2 miliardi di metri cubi provenienti dal contratto tra GasTerra e Gazprom, ma il grosso proviene comunque dalle navi di gnl, soprattutto dagli Usa, ma anche dalla stessa Russia (attraverso degli intermediari non olandesi).

Ecco perché gli esperti defiscono una "puntura di spillo" l'eventuale stop di Gazprom: "Possiamo compensarlo, possibilmente con altre fonti o fornitori di altri Paesi", dice l'esperta di energia Lucia van Geuns a Nos. Il governo si era del resto già mosso in anticipo, stanziando 640 milioni di euro per aumentare le riserve di gas sfruttando lo stabilimento di Bergermeer, che ha una capacità massima di 4,1 miliardi di metri cubi di oro azzurro. Inoltre, già a marzo Rutte aveva dato mandato per importare altri otto miliardi di metri cubi di gas liquefatto entro la fine dell'anno a seguito dell'ampliamento del terminal gnl di Rotterdam e della costruzione di un altro impianto galleggiante a Eemshaven, ricorda ItaliaOggi. Senza dimenticare il piano congiunto con la Germania per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel mare del Nord. 

Basta caldaie fossili

Ma la vera sfida dell'Olanda resta decarbonizzare l'economia. Già nel 2019, il governo aveva lanciato il Climate Act, che mira a ottenere una riduzione complessiva del 49% delle emissioni di Co2 in tutta la sua economia entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 . E questo vuol dire disconnettere case ed edifici pubblici dal gas. Già oggi, qualsiasi ristrutturazione o costruzione di nuove vase residenziali deve obbligatoriamente prevedere fonti di riscaldamento non fossili, come pompe di calore o collegamenti a impianti di teleriscaldamento. Il passo finora non è stato rapidissimo: da quando è stata introdotta la legge sul clima, meno di 10.000 case sono state ristrutturate per diventare carbon free. Per raggiungere gli obiettivi del Climate Act bisognerà accelerare il ritmo a 200.000 case all'anno. Ecco perché di recente il governo ha messo sul tavolo la proposta di vietare dal 2026 la vendita di caldaie a gas. Così facendo, si potrebbero risparmiare 9 miliardi di metri cubi di gas all'anno, assicurano all'Aja. 

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