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Mercoledì, 24 Aprile 2024
I dati / Russia

L'Occidente continua a fare affari con la Russia. E l'export italiano regge

Nei primi nove mesi del conflitto, la stragrande maggioranza delle imprese Ue e del G7 ha mantenuto le attività russe. Per i prodotti made in Italy calo contenuto delle vendite

Solo il 9% delle imprese occidentali ha chiuso del tutto i propri affari in Russia nei primi nove mesi del conflitto in Ucraina. È quanto emerge da uno studio condotto da due ricercatori svizzeri, Simon Evenett, dell'Università di San Gallo, e Niccolò Pisani, della IMD business school.

Chi è rimasto in Russia

Utilizzando un database internazionale riconosciuto, Orbis, lo studio ha individuato 2.405 società russe di proprietà di 1.404 gruppi con sede nell'Unione europea e nei Paesi del G7. Di questi gruppi, solo 120, ovvero l'8,5%, avevano venduto, entro la fine di novembre, una o più filiali russe, ma non necessariamente tutte quelle che avevano prima della guerra. Delle 1.284 rimaste, il 19,5% avevano sede in Germania, il 12,4% negli Stati Uniti e il 6,3% in Italia. 

I due autori della ricerca sottolineano come le società rimaste attive in Russia rappresentano solo il 10,4% del fatturato totale delle imprese occidentali presenti nel Paese prima dell'invasione dell'Ucraina. In altri termini, a nove mesi dall'inizio della guerra, "la stragrande maggioranza delle aziende dell'Ue e del G7 che operano in Russia sono rimaste ferme o non hanno finalizzato una possibile promessa di disinvestimento”, concludono Evenett e Pisani. Inoltre, i due economisti ricordano che, tra coloro che hanno interrotto le operazioni in Russia, c'è chi, come Nissan o McDonald's, ha inserito clausole di "riacquisto" nel contratto di vendita, consentendo dunque di poter riprendere la gestione degli assett venduti in un prossimo futuro.

I risultati della ricerca sono stati criticati da alcuni esperti, che hanno sottolineato come lo studio contempli tra le aziende occidentali anche diverse società che di fatto sono di proprietà di cittadini russi, ma che hanno sede nell'Ue o nei Paesi del G7 (per esempio, una grossa quota ha sede a Cipro, dove molti oligarchi hanno spostato parte dei loro affari in passato in cambio dell'ottenimento di un visto europeo). 

L'export italiano regge

Lo studio ha comunque il merito di mettere in luce un fenomeno che trova conferma in altri dati. Un'analisi di Politico, per esempio, ha rivelato come i rapporti commerciali tra l'Ue e la Russia abbiano retto all'onda d'urto delle sanzioni. Nei primi nove mesi del conflitto, l'import dalla Russia dei Paesi europei, complici la dipendenza energetica e l'innalzamento dei prezzi di gas e petrolio, ha raggiunto un livello più alto della media dei cinque anni precedenti. 

Se questo dato è noto da tempo, lo è meno quello dell'export dall'Ue alla Russia: sempre nello stesso periodo, il flusso commerciale da ovest a est si è ridotto rispetto al recente passato, ma per alcuni Paesi il calo non è stato così drammatico. Se tra febbraio e novembre 2022 la Germania ha visto sostanzialmente dimezzare il suo export (da un valore medio di 22 miliardi nello stesso periodo dei cinque anni precedenti a 11,6 miliardi), l'Italia ha mantenuto un valore dell'export di 4,8 miliardi rispetto ai 6,5 del quinquennio precedente. Del resto, come mette in evidenza il database curato dall'Università di Yale, se finora 26 compagnie tedesche hanno reciso del tutto i loro legami con la Russia, solo due grandi società italiane hanno seguito l'esempio (Enel e Generali). Altre 9 hannp sì sospeso le attività, ma con una clausola che permetterà loro di riprendere asset e operatività nel prossimo futuro.

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