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Giovedì, 25 Aprile 2024
Green deal

Il maxi piano dell'Europa per l'industria verde: così l'Ue sfida la Cina (e gli Usa)

L'annuncio di von der Leyen a Davos: più aiuti di Stato (per chi può permetterselo, come la Germania) e un fondo di sovranità (per chi non può, come l'Italia)

Un colpo al cerchio, con l'allentamento dei paletti sugli aiuti di Stato (tema caro alle imprese tedesche), e uno alla botte, con la promessa della creazione di un nuovo fondo comune europeo (il fondo di sovranità), così come sollecitato da Italia e Francia. Il tutto per rilanciare la produzione industriale dell'Europa nel nome del Green deal, e rispondere ai "tentativi aggressivi della Cina di attrarre la nostra capacità industriale". Ma anche al neo protezionismo Usa proprio sui settori green. È, in estrema sintesi, questo il senso del "Piano industriale per il Green deal" annunciato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al Forum di Davos, in Svizzera.

La doppia sfida con Cina e Usa

Non ci sono ancora i dettagli del piano, ma le parole di von der Leyen davanti al gotha mondiale della finanza e dell'economia sono significative perché mettono sullo stesso piatto le diverse istanze sollevate dai principali Paesi Ue, tutti preoccupati dallo stesso rischio, ossia la perdità di competitività dell'industria europea (se non la de-industrializzazione) a vantaggio di Cina e Usa. Su Pechino, von der Leyen usa le parole più ferme: la Cina ha "apertamente incoraggiato le aziende energivore europee a delocalizzare nel suo territorio" e "vediamo tentativi aggressivi della Cina di attrarre la nostra capacità industriale": anche se occorrerà continuare a collaborare, nel segno del 'de-risking' piuttosto che di un disaccoppiamento fra Ue e Cina, la Ue "userà tutti gli strumenti per gestire pratiche inique" e "non esiteremo ad aprire inchieste se valutiamo che le nostre forniture o altri mercati sono distorti dai sussidi" cinesi.

Ma anche gli Usa rappresentano un rischio: il presidente Joe Biden ha lanciato un bazooka di aiuti di Stato da 369 miliardi di dollari con il suo Inflation reduction act (Ira), e ha posto una serie di misure protezionistiche per fare in modo che queste risorse vadano alla transizione ecologica delle imprese statunitensi, a danno anche di quelle europee. È il caso degli incentivi alle auto elettriche, che rischiano di escludere i giganti Ue del settore. A Davos, von der Leyen ha ribadito le "preoccupazioni" di Bruxelles sull'Ira, e ha assicurato che "stiamo lavorando con gli Usa per trovare una soluzione" per "far sì che i nostri programmi di incentivi siano giusti e si rinforzino vicendevolmente".

Gli aiuti di Stato

Il timore di restare schiacciati da Cina e Usa è comune tra i governi, ma le soluzioni a cui mirano sono diverse: da un lato c'è chi ha tanti soldi in cassa che vuole usare senza incorrere nelle strettoie Ue sugli aiuti di Stato, dall'altro c'è chi questa potenza di fuoco non l'ha e chiede una sorta di Recovery fund bis. La sintesi di von der Leyen si ritrova essenzialmente in due pilastri. Il primo è liberare gli aiuti di Stato: "Per mantenere l'attrattiva dell'industria europea, è necessario essere competitivi con le offerte e gli incentivi attualmente disponibili al di fuori della Ue - ha detto la presidente della Commissione - Per questo proporremo di adeguare temporaneamente le nostre norme sugli aiuti di Stato per velocizzarle e semplificarle" con "procedure più semplici e approvazioni accelerate. Ad esempio, con modelli semplici per le agevolazioni fiscali. E con aiuti mirati per gli impianti di produzione nelle catene del valore strategiche della tecnologia pulita, per contrastare i rischi di delocalizzazione dovuti ai sussidi esteri".

Allentare le norme sugli aiuti di Stato non è una novità: è successo con la pandemia, e il risultato è stato un ammontare record di sussidi pubblici approvati da Bruxelles, pari a 540 miliardi di euro alla fine del 2022. Il problema, però, è che questi aiuti hanno favorito le imprese di alcuni Paesi a dispetto di altri: "Il 49,3% degli aiuti è stato notificato dalla Germania, il 29,92% dalla Francia, il 4,73% dall'Italia", mentre il restante 16% dagli altri Stati membri, ha spiegato nei giorni scorsi una portavoce della Commissione europea. Questo significa che le imprese tedesche in particolare, ma anche francesi, hanno goduto di sostegni ben più corposi, potendo così avere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti di altri Paesi Ue. 

Il fondo di sovranità

La tedesca von der Leyen ha ammesso il problema: "Gli aiuti di Stato saranno solo una soluzione limitata che solo pochi Stati membri potranno utilizzare", ha detto a Davos. Allora, come controbilanciare questo aspetto? La proposta della presidente della Commissione è quella lanciata qualche mese fa dal duo di commissari europei composto da Paolo Gentiloni e dal francese Thierry Breton, ossia un fondo sovrano europeo composto da bond emessi direttamente dall'Ue. Ossia quanto fatto in pandemia con Sure prima, e poi con buona parte delle risorse del Next Generation EU. "Per evitare un effetto di frammentazione sul mercato unico (legato alle disparità sugli aiuti di Stato, ndr) e per sostenere la transizione verso tecnologie pulite in tutta l'Unione, dobbiamo anche aumentare i finanziamenti della Ue", ha premesso von der Leyen. A questo scopo, entro la fine dell'anno, "prepareremo un Fondo di sovranità europeo nell'ambito della revisione intermedia del nostro bilancio". Tale fondo "fornirà una soluzione strutturale per aumentare le risorse disponibili per la ricerca a monte, l'innovazione e i progetti industriali strategici fondamentali" per realizzare la transizione verso le emissioni zero "senza creare nuove dipendenze".

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