Il vento in Europa non soffia più. O meglio, meno di quanto è necessario per sostenere le ambizioni della transizione ecologica del Green deal dell'Unione europea. Se l'anno scorso le pale sparse per il continente hanno garantito il 17% dei consumi elettrici, l'aumento dei costi di produzione e di gestione sta bloccando l'espansione dei parchi eolici già programmati. E dall'inizio della crisi energetica, i nuovi investimenti si sono contratti in maniera preoccupante. È l'allarme lanciato dagli esperti e dall'industria europea del settore.
Investimenti al palo
Lo stop alla crescita dell'eolico è stato evidente nel 2022: secondo i dati di WindEurope, la lobby Ue del settore, gli investimenti in nuovi parchi eolici nel continente si sono fermati a 17 miliardi di euro, il livello più basso dal 2009, per una capacità installata di 12 Gw, di cui 10 nei Paesi Ue. E tra questi investimenti, neppure uno ha riguardato l'eolico offshore su larga scala, su cui si sta puntando di più (se non quasi esclusivamente) per velocizzare la transizione. "L’Ue deve costruire 31 Gw di nuove turbine eoliche ogni anno per raggiungere i suoi obiettivi per il 2030", ricorda Giles Dickson, amministratore delegato di WindEurope. Un ritmo di crescita che al momento resta lontano.
Secondo l'associazione dell'industria di settore, il crollo negli investimenti del 2022 è stato dovuto all'inflazione e ai timori degli investitori riguardo gli "interventi dei governi nei mercati dell'elettricità", come le tasse sugli extraprofitti che hanno riguardato i lauti incassi dei produttori di energia rinnovabile. Nel 2023, passato lo spauracchio di un'Europa in stile "Robin hood", l'inflazione resta alta e gli investimenti, seppur in leggera risalita, continuano a restare bassi rispetto ai target fissati per la fine del decennio: nella prima metà dell'anno sono stati costruiti 2,1 Gw di nuovo eolico offshore e varati investimenti definitivi per ulteriori 5 Gw.
Inflazione e turbine
Ma ci sono stati anche casi di investimenti ritirati, come quello della svedese Vattenfall, che ha fatto naufragare il progetto di un parco eolico al largo delle coste della Gran Bretagna: solo lo scorso anno, la società aveva concordato col governo britannico di vendere energia a un prezzo fisso di 37,5 sterline, confidando che fosse un buon affare. Oggi, il prezzo all'ingrosso viaggia sulle 78 sterline. Come la Vattenfall, anche la spagnola Iberdrola e la danese Orsted hanno rinunciato a importanti progetti offshore.
A complicare il quadro c'è la crisi nella produzione della turbine, che a oggi vede l'Europa competere con la Cina per la leadership globale. La più grande impresa del settore nel mondo, la danese Vestas, ha registrato una perdita ante imposte di 130 milioni di euro per il secondo trimestre di quest'anno. Siemens Gamesa, altro gigante settore, ha riportato una perdita netta di 2,9 miliardi di euro nel terzo trimestre dopo aver riscontrato dei difetti tecnici e problemi di qualità in alcuni componenti delle turbine, tra cui pale del rotore e cuscinetti. I costi per risolvere tali problemi sono ingenti, e potrebbe comportare perdite fino a 4,5 miliardi di euro, scrive l'agenzia Reuters.
"Una storia di successo"
La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha sostenuto che l'aver sviluppato un'industria manifatturiera dell'eolico è stata finora "una storia di successo" nella corsa alle rinnovabili dell'Europa. In effetti stando ai dati Eurostat, nel 2021 le industrie Ue hanno esportato nel resto del mondo turbine per un valore oltre 3 miliardi di euro, mentre l'import è pressoché marginale. Esportiamo soprattutto in Usa e Regno Unito, e questa produzione ha permesso di accompagnare la crescita dell'intera filiera eolica. Ma non è tutto oro.
L'improvvisa crisi di Siemens Gamesa e le difficoltà di Vestas stanno aggiungendo elementi di preoccupazione ulteriore. Anche le dimensioni delle pale eoliche stanno diventando un problema: la spinta a costruire modelli sempre più alti e più potenti con pale di oltre 100 metri, si scontra con i ritardi nell'adeguamento delle infrastrutture e delle navi da trasporto. Su tutto, poi, la dipendenza dall'estero, e in particolare dalla Cina. A differenza del fotovoltaico, l'Europa dell'eolico non deve fare ricorso ai pannelli importati da Pechino, dato che le turbine se le costruisce da sola. Ma i generatori a magneti permanenti di queste turbine richiedono terre rare come neodimio e disprosio, e su queste la dipendenza da Pechino è elevatissima. Per tutte queste ragioni, i costi delle turbine eoliche offshore sono aumentati fino al 40% negli ultimi due anni.
Le richieste del settore e le mosse Ue
Per sostenere il green deal serve un cambio di passo. "L'Europa deve espandere la propria catena di approvvigionamento eolico offshore" sottolinea WindEurope. "Esistono già dei colli di bottiglia nella produzione delle fondazioni per le turbine eoliche offshore e nella disponibilità di navi per l’installazione. Sono necessarie anche nuove fabbriche di turbine e cavi. Più 9 miliardi di euro di investimenti nelle infrastrutture portuali. E importanti investimenti in nuove connessioni alla rete", spiega la lobby Ue del settore.
L'appello di WindEurope è stato accolto da von der Leyen, che, nel riconoscere che il settore sta "affrontando un mix unico di sfide", ha promesso "un pacchetto europeo sull’energia eolica" per garantire catene di approvvigionamento stabili. Il pacchetto dovrebbe poi specificare una serie di snellimenti burocratici e migliorie negli appalti, che sono in ultima istanza le richieste più forti da parte dell'industria.
Target più ambizioso e permessi rapidi: così l'Ue punta sulle rinnovabili
Sulla burocrazia, la nuova direttiva sulle energie rinnovabili, a un passo dall'approvazione definitiva, consentirà tempi di approvazione dei progetti più rapidi, al massimo entro 12 mesi per quelli da realizzare nelle aree considerate strategiche, ed entro 24 mesi per tutti gli altri. Von der Leyen ha promesso anche di intervenire sui sistemi di aste. Qui, il problema è l'indicizzazione dei prezzi di vendita di energia: per accaparrarsi un progetto, le società fanno a gara a chi offre il prezzo più basso. Ma se poi, come successo alla svedese Vattenfall, i prezzi aumentano esponenzialmente nel giro di poco tempo e l'indicizzazione prevista dal contratto non copre adeguatamente l'inflazione, il progetto diventa insostenibile per chi ha vinto la gara. I governi hanno tutto l'interesse a mantenere questo sistema, che garantisce costi energetici più bassi a famiglie e imprese locali. Ma se la solfa non cambia, perderanno progetti. In barba ai sogni di gloria per il 2030.