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Sabato, 20 Aprile 2024
L'inchiesta

La crisi del grano e i maxi profitti delle 4 big mondiali dei cereali

Una manciata di multinazionali, con sede in Usa e in Olanda, controlla il 70-90% del commercio globale. Esperti e ong: "Una windfall tax come per le lobby fossili"

Mentre almeno 60 Paesi nel mondo, secondo l'Onu, stanno facendo i conti con la carestia scatenata dalla crisi del grano (a sua volta alimentata anche dalla guerra in Ucraina), le 4 multinazionali che controllano il mercato dei cereali globale stanno registrando utili record. Un trend positivo che potrebbe proseguire a lungo, e il cui risvolto della medaglia sono i prezzi sempre più alti dei generi alimentari. Ecco perché, secondo diversi attivisti e ong, i governi occidentali dovrebbero istituire una tassa ad hoc su tali profitti "inattesi", la cosiddetta windfall tax discussa finora in relazione agli utili delle compagnie energetiche. È quanto emerge da un'inchiesta del Guardian. 

Gli occhi sono puntati sui governi occidentali dato che le 4 "sorelle" dei cereali (Archer-Daniels-Midland Company, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus, ribattezzate anche ABCD) hanno sede negli Usa e in Europa, per la precisione nei Paesi Bassi, e controllano circa il 70-90% del commercio mondiale di grano. Cargill, scrive il Guardian, "ha registrato un aumento del 23% dei ricavi arrivando a un record di 165 miliardi di dollari in un anno", considerato il periodo tra giugno 2021 e maggio 2022. Archer-Daniels-Midland "ha realizzato i profitti più alti della sua storia durante il secondo trimestre" del 2022. Le vendite di Bunge sono aumentate del 17% su base annua nel secondo trimestre di quest'anno. Louis Dreyfus "ha registrato utili per il 2021 in aumento di oltre l'80% rispetto all'anno precedente".

Come avviene spesso in questi casi, gli esperti si dividono: la questione non è tanto se accumulare profitti sulla pelle della popolazione sia etico o meno, quanto se dietro tali utili record vi sia stata o meno una speculazione. John Rogers, analista di Moody's, ritiene che non vi sia un cartello tra i 4 big dei cereali che sta spingendo in alto i prezzi: "Non penso che si stiano comportando in modo immorale, non stanno alzando intenzionalmente i prezzi". Il Guardian, però, cita un'analisi di una ong da cui emergerebbero comportamenti quanto meno sospetti.

Secondo Olivier De Schutter, copresidente di Ipes-Food (il gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili) e relatore speciale delle Nazioni Unite su povertà estrema e diritti umani, "il fatto che i giganti mondiali delle materie prime stiano realizzando profitti record quando la fame aumenta è chiaramente ingiusto, ed è un terribile atto d'accusa ai nostri sistemi alimentari. Quel che è ancora peggio, è che queste aziende avrebbero potuto fare di più per prevenire la crisi della fame".

"I mercati globali del grano sono ancora più concentrati dei mercati dell'energia e ancora meno trasparenti, quindi c'è un enorme rischio di profitto", ha continuato De Schutter. Il relatore speciale dell'Onu sostiene che l'aumento dei prezzi dei generi alimentari di quest'anno è avvenuto nonostante quelle che si pensa siano abbondanti riserve globali di grano, ma il problema è che non vi è trasparenza sufficiente da parte delle 4 sorelle "per mostrare quanto grano detengono e nessun modo per costringerle a rilasciare scorte in modo tempestivo". Ecco perché secondo De Schutter, "dobbiamo guardare ai giganti del grano e chiederci cosa avrebbero potuto fare per evitare la crisi e cosa potrebbero fare ora". 

Per attivisti e ong, però, più che le multinazionali, dovrebbero essere i governi a fare qualcosa: per Sandra Martinsone, responsabile delle politiche di Bond, una rete di enti di beneficenza internazionali per lo sviluppo, serve una tassa sui profitti inattesi "per ristabilire un equilibrio nei mercati alimentari e aiutare i più poveri". Le grandi aziende agroalimentari, sostiene, "stanno chiaramente capitalizzando sulla riduzione dell'offerta e sull'aumento della domanda, ulteriormente esacerbate dal commercio di materie prime", ha affermato. Anche Oxfam ha chiesto una tassa sui profitti, e sulla stessa linea ci sono diversi esponenti politici e anche organizzazioni del settore, come la britannica Sustain.

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