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Venerdì, 19 Aprile 2024
Lo studio

Come il crac Parmalat ha rafforzato le aziende italiane

Le riforme di governance introdotte dopo lo scandalo hanno abbassato i costi di investimento nelle società del belpaese. Uno studio rivela perché l'Europa potrebbe 'copiare' dall'Italia

Dopo il crac Parmalat è nato un modello di trasparenza aziendale capace di attrarre più investimenti. La reazione a uno dei peggiori scandali a danno dell'economia tricolore viene oggi riconosciuta come il giro di boa che ha consentito alle aziende del belpaese di guadagnarsi più fiducia - e dunque più capitali - nel mercato globale. A innescare il cambiamento è stato il caso Parmalat del 2003, un crac finanziario da 14 miliardi di euro che ha colpito oltre 40mila risparmiatori.

L'Italia come gli Usa

Le riforme introdotte per evitare che una frode di tali dimensioni si potesse riprodurre - secondo una ricerca pubblicata di recente - hanno consentito all'Italia di dotarsi di un quadro all'avanguardia sui controlli di governance aziendale. Questo sistema ha portato a un taglio nei costi dei capitali di rischio rendendo le aziende italiane, almeno in quest'ambito, più competitive delle loro rivali europee. A dirlo è uno studio realizzato dall'azienda di consulenza Oxera che ha messo a confronto i quadri legislativi di governance per la rendicontazione aziendale di diversi Paesi. Le regole italiane post-Parmalat vengono paragonate a quelle introdotte negli Stati Uniti dopo lo scandalo Enron del 2001. 

"Ciò che mi ha veramente sorpreso è quanto sia simile il risultato delle ricerche tra l'Italia e gli Stati Uniti", ha detto a Europa Today il professore Ryan Williams, co-autore dello studio. "Nonostante si tratti di due Paesi completamente diversi, con due tipologie di mercato completamente diverse e analizzate in due periodi differenti, la misura degli effetti delle riforme sui costi dei capitali di rischio è molto simile tra Stati Uniti e Italia", ha aggiunto l'esperto di regolamentazione finanziaria. 

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La 'medicina' post-Parmalat

Nella parte dello studio dedicata al belpaese vengono esposti i risultati del confronto tra 42 società italiane nel periodo post-Parmalat e aziende simili ma di altri Paesi europei. Per una parte della ricerca, ha precisato Williams, è stato usato un metodo che riprende la sperimentazione dei nuovi farmaci. Tra le persone coinvolte nei test "ad alcune viene data una medicina placebo mentre ad altre viene somministrato il farmaco". "La differenza tra le due reazioni è l'effetto statistico del farmaco", ha aggiunto il professore. "L'Italia ha assunto la 'medicina' mentre aziende simili in Germania non l'hanno presa: quindi abbiamo calcolato la differenza nei costi del capitale di rischio" con risultati che assegnano alle aziende italiane un vantaggio quantificato dallo 0,5 all'1% di questi costi, che normalmente ammontano a meno del 10% dell'investimento totale in un'azienda quotata in borsa. Ma quali sono i provvedimenti che hanno reso le aziende italiane più competitive?

Le riforme

Lo studio parte da lontano, per la precisione dalla legge Draghi approvata a fine anni Novanta, che "ha semplificato il quadro giuridico per le offerte di titoli, le offerte pubbliche di acquisto, gli obblighi di informativa e le società di revisione contabile", si legge nello studio. Poco prima che scoppiasse lo scandalo è arrivata la riforma Vietti, che "ha modificato il quadro giuridico per la governance delle società a responsabilità limitata italiane offrendo loro una scelta più ampia, sebbene la stragrande maggioranza delle società a responsabilità limitata italiane abbia scelto il modello tradizionale italiano. Altre modifiche hanno riguardato emissioni di azioni e diritti di minoranza". Poi è arrivato il crac, che ha costretto l'Italia a cambiare nuovamente il quadro legislativo. 

"A seguito degli scandali Parmalat e Banca Popolare di Lodi, il governo italiano ha attuato riforme ispirate, ma non identiche, al Sarbanes–Oxley Act" introdotto nel 2002 negli Stati Uniti dopo il caso Enron. "La legge sul risparmio del 2005", nello specifico, "richiede una maggiore indipendenza degli amministratori e standard più severi per i revisori e i comitati di controllo, nonché la rendicontazione dei controlli interni". Inoltre viene richiesto alla direzione aziendale di attestare l'accuratezza delle relazioni finanziarie in una lunga serie di casi che copre un'ampia gamma di aziende. Infine, "si impedisce ad amministratori e dirigenti di lavorare per revisori esterni e colma altre lacune percepite nella governance aziendale". Il quadro di maggiore trasparenza, nel corso degli anni, ha permesso alle aziende italiane di guadagnarsi una migliore reputazione sul piano internazionale, come dimostrato dai minori costi del capitale di rischio. E allora, come è possibile che l'economia italiana non sia stata capace di sfruttare questo vantaggio?

La formula della crescita

"Le cosa sarebbero potute andare anche peggio se l'Italia non avesse approvato queste riforme", ha spiegato il co-autore dello studio. Tuttavia bisogna sempre ricordare "che non esiste un solo fattore che possa predire la crescita economica: ogni Stato membro nell'Unione europea è differente dagli altri in molti aspetti in termini di struttura economica", ha ricordato Williams. 

Verso una riforma europea

Tirando le somme, l'Unione europea potrebbe prendere le riforme introdotte dall'Italia e renderle obbligatorie in tutti e 27 gli Stati membri per 'allargare' i benefici delle regole post-Parmalat. "Anche se non abbiamo ancora visto delle bozze finali, pare che il focus della Commissione europea sia ora quello di lavorare sui due pilastri chiave della riforma italiana: controlli interni e controlli da parte delle authority. Che ciò avvenga intenzionalmente o meno, ogni riforma europea sarà basata su questi due aspetti della riforma italiana", ha concluso il professore.

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