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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il caso / Ucraina

La guerra non giustifica il telelavoro: costrette dai titolari a tornare in Ucraina

La storia di due donne: le loro aziende non accettano che restino in Europa. E i loro casi non sarebbero isolati

Costrette a rientrare in Ucraina dopo essere state al sicuro per alcuni giorni o qualche settimana nell'Unione europea. Questo il destino di numerose donne, che, fuggite in fretta e furia dal loro Paese dilaniato dalla guerra, ora sono obbligate a tornare. In alcuni casi per ragioni anche comprensibili, come la necessità di prendersi cura di membri della famiglia più fragili, o magari perché stanche di vivere da sfollate. Ma alcune di loro sono state obbligate dai loro datori di lavoro, che si rifiutano di accettare che possano svolgere le loro mansioni a distanza, anche quando sarebbe perfettamente possibile. Europa Today ha raccolto alcune testimonianze dalle famiglie che in Belgio hanno ospitato le ucraine costrette al rientro. I nomi delle donne ucraine utilizzati in questo articolo sono di fantasia, per proteggere la loro privacy e sicurezza.

La manager

“Ho avuto in casa con me Iryna, la manager di un'azienda germano-ucraina di Kiev, costretta dal suo titolare a rientrare in Ucraina per lavorare, nonostante potesse farlo tranquillamente dall'estero”, racconta Petra, una donna della Repubblica ceca, che lavora a Bruxelles nell'ambito dell'amministrazione da 17 anni e che si è molto impegnata nel sostegno alle persone scappate dal Paese ex sovietico dall'inizio del conflitto. “Era fuggita mentre era in congedo dal lavoro, con il suo portatile e tutto ciò che le occorreva per svolgere le sue mansioni. Era abituata, perché era stata in telelavoro anche durante la pandemia”, prosegue Petra, precisando: “Da me è stata una decina di giorni e le avevo messo a disposizione una stanza solo per lei, con una scrivania e la privacy di cui aveva bisogno, ma il suo capo l'ha obbligata a rientrare, dicendole che la situazione era tranquilla lì e minacciando di licenziarla se non lo avesse fatto”.

Iryna si è quindi affrettata a preparare il rientro in patria, nonostante non si sentisse affatto sicura, preoccupata anche per le notizie sui crimini commessi dai militari russi nei confronti dei civili. Petra l'ha aiutata acquistandole un biglietto aereo diretto a Cracovia, in Polonia, al fine di ridurre almeno lo stress del rientro in auto. La sua meta è Ivano-Frankiskv, una città dell'Ucraina occidentale, dove ci sono continui allarmi aerei, ma (nel momento in cui scriviamo) non dei bombardamenti.

L'insegnante

Il fenomeno del rientro degli sfollati ucraini nel loro Paese è diffuso. Come riporta NHK World-Japan, molte famiglie erano in fila domenica scorsa al valico di frontiera di Medyka, dal lato polacco, mentre tante loro connazionali, donne e bambini, stavano attraversando il confine nel senso opposto, per sfuggire alle armate russe. Un'insegnante di 52 anni ha dichiarato di stare tornando a Lviv (Leopoli) nell'Ucraina occidentale. La città, che era stata in precedenza attaccata con missili dai militari russi, risulterebbe ora “ relativamente sicura”. A motivare il rientro, anche il fatto che i suoi studenti la stanno aspettando a scuola. Molte altre persone rinunciano alla permanenza nell'Unione europea perché non riescono a trovare un alloggio o un lavoro. La possibilità di restare come rifugiati, in un sistema che risulta macchinoso, spinge molte persone a rientrare a casa, almeno per coloro che ancora ne hanno una.

“Prima di Iryna ho ospitato una famiglia con bambini. Vivendo qui da tanti anni sono riuscita ad aiutarli, ma non è semplice per loro comprendere il sistema”, sostiene Petra, molto toccata dalle condizioni degli ucraini in fuga dall'invasione voluta da Vladimir Putin. “Spiegare le divisioni di competenze tra comuni e federazioni, tra sistema francofono e fiammingo, risulta per loro incomprensibile. In Belgio si dovrebbero centralizzare il tutto, altrimenti demoralizzano queste persone, già provate dalla guerra”, afferma la donna.

1 profugo su 10 torna a casa

Al momento il numero di ucraini scappati negli Stati membri dell'Ue ha sfiorato i 4 milioni di persone. Le cifre esatte di coloro che stanno invece tornando in Ucraina non sono disponibili, ma un numero crescente è stato visto ai posti di controllo della frontiera o alle stazioni. Secondo i dati forniti dalla polizia polacca, circa 364mila persone sarebbero tornate in Ucraina dal 24 febbraio. I calcoli sono resi più difficili anche dalla circostanza che molte persone attraversano a più riprese il confine, per aiutare parenti, amici o sconosciuti a scappare dalle loro città distrutte o comunque in pericolo. Le tratte di questi Caronte della guerra hanno spesso come meta l'Italia, vista l'ampia comunità ucraina presente da anni nel nostro Paese.

Il caso di Iryna non è un'eccezione. “Stiamo aiutando in queste ore a far rientrare una famiglia di ucraine, nonna, madre e figlia, che erano arrivate qui solo pochi giorni fa, perché il titolare della ditta di Luba, la madre, l'ha obbligata a tornare a Kiev”, testimonia Emilie, una donna belga che abita nella zona di Chimay, nella parte francofona delle Ardenne. Dall'inizio del conflitto Emilie, in collaborazione con gli abitanti dei villaggi limitrofi, ha iniziato una staffetta di solidarietà, sia per ospitare ucraini in fuga che per inviare materiale di prima necessità nel Paese in guerra. “La signora, estremamente discreta, lavora in ambito farmaceutico come responsabile commerciale. Il suo capo le ha imposto un rientro immediato perché deve recarsi negli ospedali e dai medici a proporre i prodotti della ditta. Per tranquillizzarla, le ha riferito che la situazione 'è davvero calma' nella capitale”. Una frase che suona quantomeno paradossale. Iryna, nel frattempo, è rientrata su un camion da Cracovia in Ucraina, e ha raccontato a Petra che al confine ha incontrato decine di donne nella sua stessa condizione.

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