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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Armi, export e migranti: sulla Turchia l'Ue è divisa, ecco perché

All'embargo di Francia e Germania si sono unite solo Olanda e Finlandia. Anche l'Italia, che di Ankara è il terzo partner al mondo per rifornimenti bellici e il secondo in Ue per rapporti commerciali, promette di adeguarsi ma chiede a Bruxelles unità

Francia e Germania hanno imposto l'embargo alla vendita di armi.  Un appello firmato da 225 deputati del Parlamento europeo chiede agli Stati membri di elevare sanzioni, come il congelamento dei fondi, ma l'azione di Bruxelles prende per ora di mira solo le "attività di trivellazione illegale di idrocarburi nel Mediterraneo orientale". Mentre l'Austria propone persino l'annullamento del processo di adesione all'Ue. La risposta dell'Europa all'offensiva di Ankara e del suo presidente Recep Erdogan in Siria ai danni della popolazione curda è affidata, per il momento, a queste iniziative e appelli. Ma manca ancora una presa di posizione unitaria. E non potrebbe essere altrimenti, dato che, al netto delle dichiarazioni, gli Stati Ue sono sostanzialmente divisi al loro interno tra chi vorrebbe il pugno duro e chi invece, come il Regno Unito o l'Ungheria, chiede un dialogo costruttivo con Ankara.

La difficile unità sulle armi

Che manchi unità lo ha ammesso il ministro spagnolo e possimo nuovo Alto commissario Ue alla politica estera Josep Borrell arrivando al Consiglio Affari esteri convocato per discutere proprio della nuova crisi siriana: "U voti all'unanimità sono difficili da ottenere. Ma questa non è una questione europea, questo tipo di accordi è firmato tra i singoli Paesi", ha chiarito. Tradotto: ogni Stato membro agirà per conto suo, al massimo coordinandosi con qualche altro. 

E' il caso, per esempio, dell'embargo franco-tedesco alla vendita di armi alla Turchia, a cui finora si sono accodati solo l'Olanda e la Finlandia. La Spagna, sempre voce di Borrell, "assolutamente favorevole" all'iniziativa, tanto più che Madrid è il secondo Paese al mondo per export di armi in Turchia. I primi sono gli Usa, che coprono il 60% dei rifornimenti bellici ad Ankara. Il terzo è l'Italia, con una quota del 15% (per una cifra, secondo i dati della Commissione, pari a 33 milioni di euro nel 2018). Da Roma, prima il premier Giuseppe Conte ha assicurato che il Balpaese "è capofila" per un embargo europeo, ma ha aggiunto che "questa decisione deve essere unitaria", cosa che, come spiegato dal ministro spagnolo, appare a oggi improbabile. Poi, forse un po' a correggere il tiro, è arrivato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha annunciato lo stop a nuove commesse.

I rapporti commerciali con Ankara

Se sull'embargo restano le divisioni, allo stesso tempo sarà difficile trovare unità sulla questione delle eventuali sanzioni ad Ankara oltre a quelle mirate alle trivellazioni al largo di Cipro. I timori in seno all'Ue sono almeno di due ragioni. Da un lato, c'è la preoccupazione delle contro-sanzioni turche. In ballo c'è uno scambio commerciale da quasi 80 miliardi l'anno, in un senso e nell'altro. Nel 2018, per esempio, i 28 Paesi Ue hanno importato beni dalla Turchia pari a 76,1 miliardi di euro. Ma ne hanno esportati 77,2 verso Ankara. La Germania è il maggiore attore di questi rapporti commerciali, con un import di 14 miliardi e un export di 19,6. L'Italia è al secondo posto con un export di 8,7 miliardi e un import di 9. A seguire, Regno Unito, Francia e Olanda. 

La paura dell'invasione di migranti

L'altro ostacolo all'unità sulle sanzioni è la minaccia di Erdogan di "riaprire i rubinetti" dei flussi migratori verso l'Europa attraverso i Balcani occidentali. Un timore dondiviso da tutti, dal momento che l'Ue ha accordato alla Turchia 6 miliardi di euro di contributi per frenare l'avanzata dei migranti, buona parte dei quali potenziali rifugiati a cui è difficile negare l'asilo (come per l'appunto i siriani). Erdogan ha lamentato che metà dell'accordo (ossia 3 miliardi) non sarebbe stato ancora rispettato e ha fatto capire che un'ingerenza Ue sulla sua offensiva contro i curdi avrebbe fatto saltare il "tappo" turco. L'Ungheria, esplicitando il pensiero di molti, ha detto chiaramente che al muro contro muro con Ankara preferisce un "dialogo costruttivo", riferendosi proprio al rischio di una nuova crisi migratoria. 

L'adesione all'Ue

Non è certo nel senso di un dialogo costruttivo che da più parti, proprio da quella destra più vicina al leader ungherese Viktor Orban, arriva la richiesta di mandare in soffitta una volta per tutte il processo di adesione della Turchia all'Unione europea. "E' un po 'ironico e assurdo discutere di sanzioni e di misure come l'embargo sulle armi contro un Paese che è formalmente in fase di adesione e che ha in corso dei colloqui con la Ue: l'Austria ritiene che questi colloqui sull'adesione" della Turchia "che sono stati congelati negli ultimi due o tre anni grazie al nostro governo, dovrebbero ora essere formalmente annullati", ha detto senza troppi giri di parole il ministro degli Esteri di Vienna, Alexander Schallenberg.

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