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Venerdì, 19 Aprile 2024
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In Svezia non c'è la seconda ondata, l'epidemiologo di Stato: "La nostra strategia è sostenibile"

Nel Paese, a differenza di gran parte d'Europa, non c'è nessun aumento del numero dei casi e la mortalità è quasi zero. "Risultato dovuto anche all'immunità sviluppata, ma non solo"

Se l'Europa sembra avviarsi sempre di più verso una seconda ondata di contagi di coronavirus, proprio mentre con tante difficoltà le scuole stanno riaprendo, c'è un Paese che invece va in controtendenza: la Svezia dell'immunità di gregge, dove le scuole peraltro non sono state mai chiuse, se non ovviamente per la pausa estiva.

Il Paese scandinavo sta vedendo una diminuzione nel numero dei contagi ed è tornato ai livelli di marzo con una media di casi settimanali per ogni 100mila abitanti che si è attestata, al 16 settembre, a 30,4 secondo i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Una cifra molto più bassa di Spagna e Francia, che ne registrano 281 e 162, inferiore a quella di Paesi che hanno messo in campo misure molto più restrittive come il Regno Unito (55,6), l'Italia (32,8), la vicina Danimarca (52,4) e quasi pari a quella dell'altro grande Paese scandinavo, la Norvegia, con i suoi 28 contagi ogni 100mila abitanti.

L'impressione è che la strategia di un lockdown soft, basato quasi esclusivamente sul buon senso dei cittadini, stia alla lunga dando i suoi frutti. “Siamo molto contenti di come stanno andando le cose, il numero dei casi è sceso negli ultimi mesi, siamo a un livello più basso della maggior parte dei Paesi europei. La mortalità è quasi zero e ci sono pochi casi in terapia intensiva”, ha spiegato in un'intervista rilasciata alcuni giorni fa a France 24 l'epidemiologo di Stato, Anders Tegnell, il cui approccio, che sta facendo discutere in tutto il mondo, lo ha reso una celebrità in patria dove è molto apprezzato dai suoi concittadini.

Lo scienziato ha attribuito questo risultato principalmente a due fattori, da una parte il fatto che i cittadini hanno seguito ("con percentuali dell'80/90%", ha detto) i consigli sul distanziamento fisico, e dall'altra la possibilità che nel frattempo si sia sviluppata comunque una certa immunità di gregge nella popolazione. “L'immunità non è mai stata un obiettivo, nel senso che di certo non volevamo che la gente si ammalasse di proposito”, ha garantito però l'epidemiologo, sottolineando che le misure di social distancing sono state messe in campo, anche se non sono state imposte con la forza e sono state più leggere. Questo le avrebbe a suo avviso rese più semplici da seguire per molto tempo.

“La nostra è una strategia più sostenibile, che puoi mantenere in atto per lungo tempo, invece della strategia che impone lockdown, poi riaperture, e poi di nuovo lockdown”, ha spiegato anche se, ha concesso, “solo alla fine vedremo quanta differenza ha fatto”. Anche durante il picco di marzo le misure di quarantena sono state minime: sono state vietate le riunioni di oltre 50 persone (limite che da ottobre sarà alzato però a 500) e le persone anziane, fragili o con sintomi sono state invitate a rimanere a casa. Però il governo ha lasciato aperte scuole, negozi e ristoranti, puntando solo su distanziamento sociale e sul senso di responsabilità dei cittadini, a cui ad esempio veniva chiesto di lavorare da casa quando possibile, ma a nessuno è stato imposto di indossare mascherine. I cittadini hanno risposto con ordine e ad esempio durante il picco di marzo "molte tratte di voli e di treni nella nostra nazione sono state cancellate, e non perché lo abbiamo imposto noi, ma perché la gente ha smesso di viaggiare", ha raccontato lo scienziato.

Bisogna sempre ricordare che parliamo di un Paese di poco più di 10 milioni di abitanti, distribuiti su un territorio che è 1,5 volte quello dell'Italia (dove gli abitanti sono oltre 60 milioni), anche se questo non significa che i cittadini siano sempre e automaticamente distanziati per questioni geografiche, nella capitale Stoccolma ad sempio vivono un un milione di abitanti e la densità abitativa è il doppio di quella di Roma. Per l'economia del Paese il lockdown soft è stato un grosso vantaggio, ma dal punto di vista sanitario non tutto però ha funzionato come sperato e il numero di morti (5.860) è stato incredibilmente più alto di quello dei vicini Finlandia (339), Norvegia (265) e Danimarca (633), tutti Paesi con circa la metà dei suoi abitanti, e tra i più alti d'Europa in proporzione alla popolazione, anche se comunque più basso di Paesi che hanno scelto la quaratena rigida come Italia, Spagna, Belgio e Regno Unito.

Questo, secondo Tegnell, dimostrerebbe che non c'è una “completa” correlazione tra la strategia soft e l'alto numero dei casi e soprattutto dei decessi che sono dovuti a delle falle che purtroppo, come lui stesso ha riconosciuto, ci sono state nella protezione delle case di cura, dove appunto c'è stato il più alto numero di morti, come avvenuto anche nel Regno Unito. Ma il sistema sanitario in generale “ha retto” l'impatto della pandemia, ha rivendicato lo scienziato, secondo cui anzi, la scelta di non imporre misure restrittive lo ha aiutato perché il lockdown per gli ospedali “serve al Covid-19 ma ha conseguenze negative in molte altre aree”, con migliaia di pazienti affetti da altre malattie che sarebbero messi in lista d'attesa con conseguenze spesso gravi per la loro salute.

Questo però non significa che il Paese sia fuori pericolo, anzi, e Tegnell non ha escluso l'insorgere di nuovi focolai localizzati in diverse zone del Paese. "La malattia sarà ancora con noi per molto tempo, e dobbiamo imparare a convicerci", ha avvertito.

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