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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Scorie nucleari: come funziona nel resto d'Europa e perché l'Italia è in ritardo nello smaltimento

Le nostre ultime centrali sono state spente nel 1990, ma i rifiuti radioattivi non sono ancora stati stoccati in impianti sicuri

L’Italia ha spento le ultime centrali nucleari nel ‘lontano’ 1990, ma non ha ancora deciso dove e come stoccare i rifiuti radioattivi in sicurezza. Il ritardo del Belpaese è certificato e sanzionato a livello Ue da diversi anni, ma è tornato d’attualità con la pubblicazione delle 67 aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale delle scorie. L’individuazione dei siti di stoccaggio è stato richiesto da Bruxelles e “tutti gli Stati membri dotati di programmi nucleari, eccetto uno”, ovvero l’Italia, “prevedono lo sviluppo di depositi di smaltimento geologico”. Ma tutto il mondo è paese, e anche nel resto d’Europa diversi Governi non hanno fatto altro che rinviare la decisione su dove stoccare i rifiuti pericolosi. “Solo Finlandia, Francia e Svezia hanno adottato misure concrete”, riconosce la Commissione europea nell’ultima relazione sul trattamento delle scorie. 

L'esempio finlandese

La Finlandia “è il primo Paese al mondo ad aver avviato la costruzione di un deposito geologico di profondità che dovrebbe entrare in funzione entro il 2024”. Svezia e Francia seguiranno rispettivamente nel 2032 e 2035. Gli altri Paesi Ue che hanno sfruttato - o usano ancora oggi - le centrali nucleari prevedono piani di lungo periodo con depositi temporanei che dovrebbero tenere fermi i rifiuti anche per diversi decenni. Emblematico è il caso dell’Olanda che prevede il 2.130 come data di messa in esercizio dei depositi geologici di profondità.

Il processo partecipativo

Il percorso di localizzazione dei siti di stoccaggio “si configura come processo partecipativo”, si legge nel sito depositonazionale.it, portale gestito dalla Società Gestione Impianti Nucleari (Sogin), responsabile dello smaltimento dei resti della produzione nucleare italiana. Nel caso dei Paesi nordici la scelta su dove creare il deposito nazionale avviene “con la delibera delle municipalità che hanno accettato il deposito; nel caso francese attraverso lo svolgimento di uno strutturato dibattito pubblico”, fa notare la Sogin. 

I ritardi e la condanna

Un processo di confronto trasparente con i territori che in Italia non è mai iniziato e che ha portato alla condanna da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea per la mancata attuazione delle regole Ue. L’Italia “non avendo notificato alla Commissione europea il suo programma nazionale per l’attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi”, “è venuta meno agli obblighi” stabiliti dalla direttiva in materia approvata nel 2011 e da attuare entro il 23 agosto 2013. Così hanno stabilito i giudici Ue. Il via libera alla pubblicazione della lista delle 67 aree potenzialmente idonee allo smaltimento doveva arrivare addirittura nel lontano 20 agosto 2015 ma la richiesta da parte dei ministeri competenti di alcuni accertamenti tecnici ha fatto però slittare più volte la data. Inoltre le cause del ritardo italiano sono legate “da un lato, alla previa consultazione pubblica” ancora da fare “e, dall’altro, alla modifica della compagine governativa che avrebbe ritardato il processo di adozione del programma nazionale”, hanno scritto i giudici Ue nell’estate del 2019 riferendosi al cambio di Governo successivo alle elezioni del 2018. Quello che non si poteva sapere all’epoca della sentenza è che di lì a qualche settimana sarebbe caduto anche il primo Governo guidato da Giuseppe Conte e che, anche agli inizi del 2021, l’esecutivo italiano sarebbe tornato dalla pausa natalizia con la minaccia di essere rimpiazzato ancora una volta.

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