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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il racconto / Russia

I russi che ripudiano Putin ma che si rifiutano di scappare

A legarli al Paese sono le ragioni più disparate: affetti, soldi, mancanza di prospettive e di sostegno da parte della comunità internazionale, ma anche la voglia di combattere per la propria libertà

Tra le vittime della guerra in Ucraina ci sono anche i dissidenti russi. Molti di loro sono scappati all'estero, ma la maggior parte è costretta a restare nel Paese. A trattenerli in quella nazione che spesso percepiscono come una prigione ci sono gli affetti, la mancanza di soldi per costruirsi una vita migliore altrove, la mancanza di prospettive, l’incertezza e anche la crescente russofobia da parte degli occidentali. Quale che sia la ragione, una grande fetta della popolazione non può permettersi di prendere tutto e partire, perché ricominciare da zero, soprattutto se si ha una famiglia è molto difficile.

Meduza, un giornale russo di opposizione, ha raccolto alcune delle loro storie. A unire i racconti sono le preoccupazioni per i propri cari, spesso fragili. La consapevolezza che senza di loro non ci sarebbe nessuno a prendersi cura dei loro bambini, dei loro genitori o dei loro nonni. “Sono il figlio maggiore e mio fratello lavora all'estero” racconta Aidar, i suoi familiari e “la mia ragazza, potrebbero avere bisogno di me” ma “se non fosse per questi due fattori, me ne andrei, anche senza le mie cose e con un futuro incerto”, perché “sarei in grado di farcela all'estero come programmatore esperto, ma non posso dare la stessa garanzia ai miei cari”. L'uomo sostiene di non vedere nessuna prospettiva in Russia ma di pensare che “anche una vita meno confortevole all'estero sembra meglio” della sua a Kazan. Inoltre, racconta di sentirsi responsabile di quello che sta accadendo all’Ucraina, ma ha paura di scendere in piazza perché significherebbe “rischiare una condanna al carcere, che mi renderebbe incapace di aiutare i miei cari o di lasciare il paese”.

Elizaveta, che vive in un piccolo villaggio in Siberia, racconta che a trattenerla è una bambina con cui, assieme al compagno, condivide l’affido. Se non fosse per il fatto che non hanno ancora il diritto di portarla fuori dal Paese e che non hanno avuto “il tempo di risparmiare abbastanza per il trasferimento” sarebbe già partita. E lo farà, lei e il compagno inizieranno “a studiare una lingua straniera e a porre le basi” per andare via “non voglio avere niente a che fare con questo Paese aggressore. Non si adatta alla mia visione del mondo”, sostiene. Oleg invece dice che rimarrà perché ha una bambina piccola, ma sostiene che a causa delle azioni del suo Paese non sa come “continuare moralmente a vivere”.

Anche Aliya e Alisa non fuggono per non lasciare sole le loro famiglie ma sono estremamente preoccupate per quello che sarà il loro avvenire. Aliya, che lavora in una galleria d’arte moderna, pensa “che le cose stiano per mettersi molto male: applicazione tirannica della legge, povertà, banditismo e forse una guerra civile”. Alisa invece, prevede “un futuro molto peggiore” di quello successivo alla caduta dell’Unione sovietica. “Molte persone saranno senza lavoro. La fame diventerà un problema serio. Il crimine salirà alle stelle. Siamo sul Titanic, e ha appena colpito l'iceberg”. A preoccupare i cittadini che vorrebbero fuggire è anche la mancanza di protezione e di supporto da parte dell’Occidente.

Sono stati i grandi dimenticati di questa guerra, ma molti di loro, se solo fossero aiutatati dagli altri Paesi, andrebbero via. È il caso di Kirill che racconta si essere rimasto solo perché “non c’è un posto dove andare”. Ma, “se fosse possibile passare attraverso un processo ufficiale e vivere da qualche parte legalmente, me ne andrei”. Oltre alla mancanza di protezione e il maggiore costo della vita a destare paura è anche la crescente russofobia, per questo, secondo Tatyana “In questo momento non è sicuro vivere fuori dalla Russia”.

In ultimo, c’è chi ha deciso di restare perché spera di poter fare qualcosa per il proprio Paese. È il caso di Nastya che si dice speranzosa sul fatto che le cose possano cambiare, “specialmente adesso che il regime è particolarmente vulnerabile. Se possiamo sopravvivere a questa crisi”, dice, “possiamo costruire una nuova Russia”. Yevgeny afferma di sperare “nella ripresa economica, nelle riforme e in un cambio di governo”. Secondo lui “lasciare il Paese in questo momento sarebbe un tradimento. L'unico modo per superare questi criminali al potere è unirci”. Dasha dice di aver avuto la possibilità di andarsene, ma di aver scelto di restare perché ama la Russia e la sua gente. “Penso che valga la pena di lottare per la libertà”, dice, “scherzo spesso con il mio terapeuta che alla fine, le tre persone rimaste in questo paese saremo io, Navalny e Putin”.

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