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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Così lo "tsumani" dei rifiuti dei nostri smartphone mette in pericolo i bambini dei Paesi poveri

Secondo l'Oms 18 milioni di minori lavorano in discariche per estrarre materiali preziosi da vecchi telefoni e computer, venendo a contatto con sostanze tossiche

In una società sempre più interconnessa attraverso la rete, nei Paesi ricchi del mondo la vendita di telefoni cellulari, computer, schermi e altri dispositivi elettronici è in constante aumento. E questi dispositivi hanno una vita media sempre più bassa, secondo le stime in media cambiamo uno smartphone circa ogni tre anni, spesso molto di meno. Gli apparecchi usati vengono buttati e solo raramente riciclati in Occidente, diventando uno “tsunami” di rifiuti che raggiunge solitamente le discariche delle nazioni più povere del pianeta, dove vengono trattati quasi sempre in maniera irregolare, sfruttando il lavoro dei bambini, preziosi in questo settore per le loro mani piccole ed agili. E mettendo così in pericolo la loro salute e la loro vita.

Secondo il rapporto The Global E-Waste Monitor 2020, solo nel 2019 sono state generate 53,6 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici nel mondo, una media di 7,3 chili per individuo, e le previsioni indicano che entro il 2030 raggiungeranno i 74,7 milioni di tonnellate. L'Europa ha registrato la più alta quantità di produzione per persona ma per fortuna anche il più alto tasso di raccolta e riciclaggio dei rifiuti attraverso i canali ufficiali. Come riporta El Pais però la maggior parte dei rifiuti finisce nelle discariche illegali dei Paesi in via di sviluppo. Discariche come quella di Agbogbloshie, quartiere di Accra, la capitale del Ghana, dove lavorano migliaia di persone che estraggono dagli 'scheletri' dei nostri telefonini, in maniera artigianale e senza adeguate misure di protezione, materie preziose come oro, platino, palladio, cobalto o rame.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente presentato il rapporto “Bambini e discariche digitali: esposizione ai rifiuti elettronici e salute dei bambini”, uno studio che evidenzia i rischi per la salute di queste discariche sulla salute di bambini, adolescenti e donne in gravidanza. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms, ha parlato di "uno tsunami di rifiuti elettronici che mette a rischio la vita e la salute" delle persone coinvolte nel fenomeno. Secondo il rapporto nel mondo 18 milioni di minori - alcuni anche di cinque anni - lavorano nel trattamento di vecchi computer e smartphone.

Queste attività sono spesso svolte in modo irregolare e incontrollato e hanno impatti molto importanti sulla salute e sulla crescita di bambini e adolescenti, poiché i loro organi e il loro sistema immunitario sono ancora in via di sviluppo e sono molto più vulnerabili all'impatto di materiali tossici con cui vengono a contatto durante il processo di lavorazione. Nel caso delle donne in gravidanza, i danni causati dalle esposizioni possono essere trasmessi anche al feto. I più importanti rischi per la salute sono stati legati all'esposizione a metalli pesanti o inquinanti organici persistenti come le diossine e le particelle emesse dalla combustione dei rifiuti, una delle principali forme di trattamento clandestino dei rifiuti elettronici. Questi rifiuti elettronici inquinano poi la terra, l'acqua, la polvere e l'aria.

"Il piombo che spesso proviene dalle batterie dei cellulari e da altri dispositivi, è una neurotossina che provoca gravi danni cerebrali, soprattutto nei bambini sotto i cinque anni, ed è stata addirittura collegata a problemi comportamentali e di salute mentale, e una maggiore tendenza ad atteggiamenti violenti, oltre a produrre malattie cardiovascolari o renali”, ha spiegato al giornale spagnolo Blanca Carazo, di Unicef Spagna. A livello internazionale esistono convenzioni come quelle di Basilea, Rotterdam e Stoccolma che vietano l'uso commerciale e la circolazione transfrontaliera di alcuni rifiuti e sostanze ritenute pericolose. Ma al momento nonostante sia aumentato il numero dei Paesi che hanno adottato leggi in materia, il loro numero è ancora molto ridotto, e non raggiunge nemmeno la metà degli Stati riconosciuti dall'Onu.

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