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Venerdì, 19 Aprile 2024
RepowerEu

Il piano Ue anti-Russia sull’energia a rischio flop

A fronte dei 300 miliardi “mobilitati” dalla Commissione europea, i ‘veri’ finanziamenti a fondo perduto ammontano a 20 miliardi da dividere tra 27 Stati membri

Raggiungere entro cinque anni la piena indipendenza energetica dalla Russia, spostando le fonti di approvvigionamento sulle rinnovabili o sull’import di gas da altri Paesi fornitori. Questo è l’obiettivo del titanico piano europeo RepowerEu, presentato una settimana fa dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. “Stiamo mobilitando quasi 300 miliardi di euro”, aveva annunciato la numero uno di Palazzo Berlaymont, mettendo nello stesso calderone “72 miliardi in sovvenzioni e 225 miliardi in prestiti”. Ma, a conti fatti, i finanziamenti a fondo perduto destinati alla sola realizzazione del piano ammontano a 20 miliardi di euro da dividere tra i 27 Paesi Ue.

Lo stesso giorno dell’annuncio di von der Leyen era infatti venuto a galla che i 225 miliardi di euro di prestiti del RepowerEu non sono altro che gli ‘avanzi’ del Recovery Fund lasciati sul tavolo dai Paesi membri. Solo Italia, Grecia e Romania hanno infatti chiesto l’intera fetta del Recovery destinata ai singoli Paesi, prendendo anche le somme che dovranno rendere - con gli interessi - all’Unione europea. Gli altri Stati membri per ora hanno lasciato i prestiti a loro disposizione nelle casse di Bruxelles, riservandosi la possibilità di richiederli entro la scadenza del 31 agosto 2023. La novità introdotta dalla Commissione con il RepowerEu è che i governi dovranno comunicare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del piano la loro intenzione di domandare i prestiti Ue, che altrimenti verranno assegnati ad altri Stati.  

Tuttavia, non è detto che i 225 miliardi vengano usati interamente per gli obiettivi di autonomia energetica. La proposta della Commissione non prevede infatti alcun legame giuridico tra l’assegnazione dei presiti e gli obiettivi del RepowerEu. Di conseguenza, né gli Stati che devono ancora chiedere la loro parte dei prestiti del Recovery né i governi che cercheranno di ottenere ulteriori finanziamenti saranno costretti a utilizzare le somme per investire sulle rinnovabili, sui nuovi gasdotti e sulle altre infrastrutture necessarie per liberarsi dalla dipendenza da Mosca.

Così come la quota di prestiti, anche i 72 miliardi di sovvenzioni annunciati dalla Commissione per il RepowerEu provengono in gran parte da altri canali di finanziamento e - in teoria - andrebbero destinati ad altre finalità. Ad esempio, Bruxelles ha concesso agli Stati di dirottare fino 26,9 miliardi di euro dai fondi di coesione alla realizzazione del piano sull’energia. Una mossa che ha mandato su tutte le furie la commissione per lo Sviluppo regionale del Parlamento europeo. “Prelevare le risorse dalle regioni e fornirle incondizionatamente agli Stati mette a repentaglio la coesione dell'Unione ed è contrario agli obiettivi stessi dei Trattati”, ha avvertito il presidente della commissione parlamentare Younous Omarjee, annunciando battaglia in Aula sul provvedimento.

Simili lamentele sono arrivate anche dalla commissione Agricoltura per denunciare l’eventuale taglio di fino a 7,5 miliardi di euro dalla Politica agricola comune (Pac) per finanziare gli obiettivi di autonomia energetica. Un cambio di destinazione delle risorse già escluso per l’Italia dal ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli. Oltre a definire “complicato” lo spostamento dei fondi Pac, Patuanelli ha anche bollato come “surreali” le regole Ue che impediscono agli agricoltori di beneficiare degli stessi incentivi per l’installazione di pannelli solari garantiti ad altre categorie.

Tirando le somme, gli unici ‘soldi freschi’ dell’intero piano RepowerEu saranno i 20 miliardi di euro di sovvenzioni provenienti, ha spiegato Palazzo Berlaymont, “dalla vendita all'asta di un numero limitato di quote del sistema per lo scambio di quote di emissioni (Ets) attualmente detenute nella riserva stabilizzatrice del mercato”. In altre parole, la Commissione intende mettere all’asta un ammontare di ‘crediti’, ovvero di permessi di emettere Co2, per l'equivalente di 20 miliardi. Esattamente il contrario di quanto avevano chiesto gli europarlamentari della commissione Ambiente il 17 maggio scorso, alla vigilia della presentazione del RepowerEu. “I deputati - si legge in una nota - vogliono che la riduzione annuale delle quote di emissione aumenti annualmente di 0,1 punti percentuali rispetto all'anno precedente fino al 2030” partendo “dal 4,2%” dunque arrivando a una riduzione annua intorno al 5% entro la fine del decennio. 

“Un percorso di riduzione più rapido dell’Ets dovrebbe fornire una chiara direzione verso il raggiungimento dell'obiettivo di riduzione delle emissioni dell'Ue per il 2030 e della finalità dell'accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi”, avevano evidenziato gli eurodeputati. Ma la guerra in Ucraina ha ribaltato le priorità di Bruxelles, oggi troppo impegnata a liberarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia per pensare al cambiamento climatico. Peccato che anche i finanziamenti a fondo perduto dedicati esclusivamente al nuovo obiettivo saranno limitati a una media inferiore al miliardo di euro per ogni Stato membro nei prossimi cinque anni a fronte dei 300 miliardi “mobilitati”.  

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