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Martedì, 23 Aprile 2024
Clima ed energia

Francia e Cina insieme per il maxi oleodotto in Africa. Le proteste: "È una bomba climatica”

Gli ambientalisti si stanno battendo contro la sua costruzione. Che metterebbe a rischio 12 riserve naturali e l'acqua per 40 milioni di persone

Metterebbe a rischio 12 riserve naturali e l'acqua per 40 milioni di persone in Africa orientale, una vera e propria "bomba climatica". Ma per il gigante francese TotalEnergies e la compagnia petrolifera cinese Cnooc i piani per la costruzione del mega oledotto East african crude oil pipeline (Eacop) devono andare avanti. E poco importa che, dopo le pressioni di attivisti e ong di tutto il mondo, diverse banche e assicurazioni si stiano tirando indietro dall'iniziativa.

Il progetto prevede lo sfruttamendo di giacimenti scoperti nel 2006 in Uganda, nella regione del Lago Albert. L'idea è di trasportare il greggio dall'Uganda attraverso un oleodotto riscaldato di 1443 km fino al porto di Tanga, in Tanzania, prima di esportarlo. Avrà una capacità di trasporto di 230mila barili di greggio al giorno e i governi di entrambi i Paesi sono interessati ai benefici economici di questo progetto.

Un disastro sociale e ambientale

Il piano è stato pesantemente criticato dalle organizzazioni ambientaliste in Africa e nel mondo: un rapporto del Wwf ha rivelato che lungo il suo percorso l'oleodotto attraverserà 12 riserve ecologiche, più di 200 fiumi e migliaia di fattorie agricole, mettendo in pericolo specie minacciate come scimpanzé, scimmie rosse, ippopotami, elefanti, zebre, uccelli esotici e gorilla di montagna. Inoltre, l'oleodotto passerà non molto lontano dal Lago Vittoria, fonte d'acqua per 40 milioni di persone. Senza contare l'impatto sul clima: 230mila barili di petrolio equivalgono a 35 milioni di tonnellate di Co2 all'anno, ovvero 6 volte le emissioni annuali dell'Uganda. Il gasdotto, poi, sarà mantenuto a una temperatura costante di 50ºC, richiedendo ulteriore energia e generando ancora più emissioni di gas serra, spiega il quotidiano LeSoir.

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Le influenti attiviste per il clima Vanessa Nakate e Hilda Nakabuye hanno dato il loro sostegno agli oppositori dell'oleodotto, sostenendo la necessità che l'Africa si allontani dai combustibili fossili. Oltre ai danni ambientali il progetto potrebbe diventare una vera e propria bomba sociale, come già successo in passato in altri Paesi del Continente, “la scoperta del petrolio in Nigeria, Angola e Repubblica Democratica del Congo non ha portato una prosperità diffusa. Invece, ha portato povertà, violenza e la perdita di terre e culture tradizionali”, spiega Nakate in un editoriale sul New York Times.

Secondo Oxfam International, circa 14mila famiglie perderanno la terra e migliaia di persone saranno sfollate finanziariamente o fisicamente. Si dice che i risarcimenti offerti ad alcune comunità siano del tutto inadeguati. L'oleodotto inoltre disturberà gli habitat della fauna selvatica. Lo scrittore e attivista per il clima Bill McKibben ha affermato che sembra quasi che il percorso sia stato "tracciato per mettere in pericolo il maggior numero possibile di animali". Una fuoriuscita di petrolio sarebbe ancora più catastrofica per gli habitat e le riserve di acqua dolce.

Le proteste

L'incessante pressione dei gruppi ambientalisti, sotto lo slogan #StopEACOP, ha portato una lista crescente di banche e assicurazioni ad abbandonare il progetto del gasdotto. "Il progetto era molto difficile da difendere" dal punto di vista ambientale, commenta Les Echos. Dopo Swiss Re, Zurich, Allianz Group, Axa e Scor, anche il riassicuratore tedesco Hannover Re ha affermato di non voler avere a che fare con il progetto. Di fronte all’East African Crude Oil Pipeline hanno voltato le spalle anche una quindicina di banche, tra le quali Barclays, Hsbc e Bnp Paribas.

Anche Sace (un'agenzia di credito all'esportazione italiana, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze) avrebbe deciso di abbandonare il controverso progetto dopo le pesanti critiche ricevute. La decisione di prender parte al progetto aveva scatenato l’ira degli attivisti di Friday for Future, che, per disincentivare l’azienda ad assicurare l’Eacop avevano bombardato di mail la società.

Il progetto continua

Sebbene la costruzione di questo oleodotto sia in ritardo di diversi anni rispetto alla tabella di marcia (la costruzione era prevista per il 2016), Uganda, Tanzania, TotalEnergies e Cnooc non sembrano intenzionate a fermarsi: lo scorso febbraio è stata firmata la decisione finale di investimento (Fid) tra le parti. Total ha impiegato più di sei anni per rassicurare investitori e oppositori, ha dovuto passare attraverso una partnership con la compagnia petrolifera cinese e vendere un altro 10 per cento delle azioni del progetto a società di Uganda e Tanzania.

Le defezioni registrate finora non sembrano preoccupare i responsabili del gruppo francese. Secondo il Financial Times e il Bureau of Investigative Journalism, il broker assicurativo Marsh McLennan, con sede a New York, entrerà a far parte del progetto, insieme a una banca sudafricana e a una giapponese.

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