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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'analisi / Ucraina

Negoziati tra Russia e Ucraina a un punto morto, cosa sta andando storto

Storicamente le possibilità di successo dei colloqui di pace sono sempre bassissime, le esperienze del passato mostrano quali sono i punti di forza e di debolezza delle trattative tra Mosca e Kiev

I colloqui di pace tra Russia e Ucraina sembrano destinati a un fallimento. Entrambe le parti si accusano a vicenda di una mancanza di reale volontà di raggiungere un accordo. Nella sua conversazione con il presidente francese Emmanuel Macron, Vladimir Putin ha detto che Kiev "non è pronta per negoziati seri". Volodymyr Zelensky ha sostenuto che c'è un "rischio alto" che i colloqui possano fermarsi a causa delle atrocità perpetrate dalle forze di Mosca. Sia Mosca che Kiev continuano, almeno pubblicamente, a fare richieste che la controparte non è disposta ad accettare, ma questo fa parte della retorica e della propaganda legata a una guerra. Di fatto entrambe le parti devono essere pronte a concedere qualcosa rispetto alle richieste iniziali, se vogliono porre fine alle ostilità. Ma quanto devono farlo dipende dalle posizioni di forza ovviamente.

Scarse probabilità di successo

In ogni caso le speranze che il conflitto possa terminare grazie ai negoziati sono poche, e non solo perché sia Russia che Ucraina sembrano al momento convinte di poter vincere la guerra sul campo, ma anche perché da sempre i negoziati di pace hanno una scarsa percentuale di successo. Tra il 1946 e il 2005, solo 39 dei 288 conflitti, ovvero il 13,5%, si sono conclusi con un accordo di pace, come riporta uno studio dell'Università di Uppsala in Svezia. Gli altri si sono conclusi con la vittoria di una parte, o con la fine delle ostilità senza un accordo che ponesse ufficialmente fine alla guerra. Ma in ogni conflitto, anche nei momenti più terribili, la necessità di mantenere un canale di dialogo, per quanto difficile, è sempre fondamentale.

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Negoziati mai interrotti

I negoziati tra Kiev e Mosca, a diversi livelli, sono andati avanti dall'inizio dell'invasione. Prima in Bielorussia, poi ci sono state diversi colloqui in videochiamata, e poi quelli di più alto livello, e che avevano acceso le speranze di una pace, in Turchia, in cui si sono anche incontrati i ministri degli Esteri delle due nazioni, Sergej Lavrov e Dmytro Kuleba. Questi ultimi colloqui però sono terminati dopo le pubblicazioni delle immagini delle atrocità di Bucha, e da allora i contatti stanno avvenendo solo in maniera virtuale. Ma cosa sta frenando i negoziati, cosa li potrebbe sbloccare e come potrebbero essere facilitati? Guardando le esperienze del passato si può provare a farsi un'idea un po' più chiara.

Mediatore neutrale

Come sottolinea in un'analisi su The Conversation il professor Philipp Kastner, Senior Lecturer di Diritto internazionale alla University of Western Australia, dei negoziati efficaci hanno bisogno di un mediatore super partes e indipendente, meglio ancora se un professionista, per avere maggiori possibilità di successo. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali hanno istituito in passato squadre di mediazione, ed esistono anche diverse organizzazioni non governative specializzate, come il Centre for Humanitarian Dialogue di Ginevra, in Svizzera, e la Crisis Management Initiative con sede a Helsinki, in Finlandia. Ma il rischio è che vengano comunque considerate “filo-occidentali” da Mosca, che potrebbe non fidarsi della loro imparzialità.

Mediatore non neutrale

Il mediatore però non deve necessariamente essere neutrale, in quel caso però solitamente è vicino al più forte e accettato dal più debole. Furono gli Stati Uniti, storicamente i più grandi sostenitori di Tel Aviv, a fare da intermediari negli Accordi di Oslo del 1993 tra Israele e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Fondamentale fu anche il ruolo svolto da Blaise Compaoré, l'ex presidente del Burkina Faso, nei negoziati del 2007 che portarono a un accordo di pace tra il governo della Costa d'Avorio e i ribelli delle “Forze Nuove”, che Compaoré aveva apertamente sostenuto, e che sembrava stessero per vincere il conflitto.

Le armi all'Ucraina allontanano la pace?

In molti sostengono che fornire armi all'Ucraina allontani la possibilità di pace, ma questo sembra essere vero solo se si pensa che la pace possa essere raggiunta soltanto con la resa di Kiev, magari incondizionata. Di fatto, secondo Kastner, uno stallo nel conflitto, che si raggiunge quando nessuna delle due parti riesce a ottenere una chiara vittoria militare, aiuta i negoziati, che diventano la logica via da seguire. In quel caso i negoziatori, magari supportati da un mediatore, trovano un compromesso che può essere presentato come una sorta di guadagno reciproco, e smettono di dilaniarsi sul campo all'infinito.

Accordi 'forzati'

In passato alcuni negoziatori sono stati quasi forzati a trovare un accordo, presi per le orecchie e costretti a raggiungere un compromesso. Un ottimo esempio è l'accordo di pace di Dayton del 1995 che pose fine allo spargimento di sangue in Bosnia-Erzegovina. In quel caso però gli Stati Uniti avevano una forte influenza su entrambe le parti, al punto tale che il mediatore capo, Richard Holbrooke, arrivò ad adottare l'approccio definito del "Big Bang", in cui tutte le parti vengono rinchiuse in una stanza (in questo caso la base aerea Wright-Patterson a Dayton), fino a quando non raggiungono un accordo. Ma sembra difficile che ci sia al momento una nazione che possa prendere per le orecchie i mediatori di Putin.

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