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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Dall'Ue "marcia" al "non faremo pazzie", la parabola di Meloni e l'Europa

La leader di Fratelli d'Italia prova a rassicurare Bruxelles con dichiarazioni moderate, soprattutto su temi economici, ma la storia del suo movimento e le sue alleanze mostrano posizioni più radicali

Le ultime dichiarazioni di Giorgia Meloni, sull'interesse nazionale italiano che “viene prima” dell'Ue, hanno riacceso il dibattito sull'europeismo della donna che in tanti danno già come nuova prima ministra del nostro Paese. La scorsa settimana la leader di Fratelli d'Italia aveva detto che per l'Unione, in caso di una sua vittoria, sarebbe “finita la pacchia” e che il nostro Paese avrebbe cominciato a “difendere” i propri interessi “come fanno altri”. Ad agosto la deputata romana aveva pubblicato sui social un video in cui si rivolgeva alla stampa internazionale, e indirettamente alla stessa Bruxelles, per rassicurare sul fatto che una svolta autoritaria nel nostro Paese e l'uscita dall'euro se al governo della nazione sarebbe andata lei, fossero solo “sciocchezze” ispirate “dal potente circolo mediatico della sinistra”.

Le posizioni di Fratelli d'Italia nei confronti dell'Unione europea sono sempre state piuttosto critiche, anche se si sono poi moderate nel corso degli anni, con l'aumentare del potere dell'influenza del partito. Alla nascita dell'organizzazione, nel 2012, Meloni le “sciocchezze” che oggi dice essere ispirate dalla stampa di sinistra, le diceva però chiaramente proponendo di abbandonare la moneta unica (“L'euro è una moneta sbagliata destinata a implodere. Vogliamo lo scioglimento concordato e controllato dell'Eurozona”), definendo Commissione europea e Bce dei “comitati d’affari e di usurai”, e sostenendo la Brexit (definita “scelta necessaria” visto che l'Ue “non si può riformare”, essendo “marcia fin nelle fondamenta”).

Inizialmente però gli eurodeputati del suo partito sedevano in un gruppo europeista, quello dei popolari. Ma questo perché furono eletti nel 2009 con Il Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi, da cui poi nacque tre anni dopo Fratelli d'Italia. A Bruxelles e Strasburgo seguirono allora Meloni in tre: Marco Scurria, Carlo Fidanza e Magdi Allam con i primi due che si spostarono nei banchi del Partito Popolare Europeo e il terzo che andò con l'estrema destra di Europa della Libertà e della Democrazia, dove sedeva anche la Lega. Il partito nelle elezioni successive non elesse nessun deputato, mentre in quelle del 2019 ben sei: Carlo Fidanza, Pietro Fiocchi, Sergio Berlato, Nicola Procaccini, Raffaele Stancanelli e Raffaele Fitto. Quest'ultimo, che aveva abbandonato a sua volta Berlusconi lasciando Forza Italia nel 2017, è stato il regista del traghettamento di FdI nel gruppo europeo dei Conservatori e Riformisti (Ecr), a cui aveva aderito nell'anno dell'addio all'ex cavaliere.

L'operazione politica si è rivelata un grande successo, al punto tale che Meloni nel 2020 è stata scelta addirittura come presidente del partito, orfano di quella che era la suo componente da sempre più forte, numerosa e influente: i conservatori britannici che con l'addio all'Ue avevano lasciato gli scranni comunitari. L'Ecr è un gruppo di destra ma è considerato meno radicale di Identità e Democrazia, il gruppo in cui siedono la Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen, e per questo è riuscito anche ad eleggere un vice presidente dell'Aula, il lettone Roberts Zile, in cambio dell'appoggio all'esecutivo guidato da Ursula von der Leyen.

Ma nelle sue fila siedono tra gli altri anche i polacchi del partito Legge e Giustizia (Pis), al governo a Varsavia e da sempre in rotta di collisione con Bruxelles su diritti civili e Stato di diritto. Meloni sta poi da tempo cercando di portare nel gruppo anche l'ungherese Viktor Orban, il cui partito, Fidesz, è uscito dal gruppo popolare (che stava per espellerlo), e che senza dubbio è il meno europeista di tutti i leader dell'Unione. I tre partiti votano quasi sempre insieme su temi come i diritti civili e l'immigrazione, andando contro le posizioni del resto dell'Aula.

Ma Meloni sta cercando di rassicurare Bruxelles in ogni modo, temendo forse di perdere fondi europei ritenuti fondamentali per le nostra economia, come accaduto proprio ad Orban, a cui Commissione ha congelato ben 7,5 miliardi destinati a Budapest. E lo sta facendo cercando di rassicurare l'Europa sul punto che da sempre all'Ue importa di più: la stabilità delle finanze pubbliche e il rispetto dei patti economici. "Sono molto cauta. Nessuna persona responsabile, prima di avere un quadro completo delle risorse che possono essere investite, può pensare di distruggere le finanze del Paese", ha assicurato in un'intervista all'agenzia Reuters il mese scorso.

E ha affidato invece a Fulvio Tremonti, l'ex ministro di Berlusconi e ora una delle menti economiche di FdI, il compito di inviare messaggi rassicuranti attraverso l'influente quotidiano online Politico. “Con questo tipo di Europa, che è radicalmente differente, possiamo andare d'accordo”, ha detto alla testata.

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