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Giovedì, 25 Aprile 2024
La storia / Belgio

Dopo 70 anni ritrova il corpo del marito seppellito a Marcinelle. Pochi giorni dopo muore

Dante Di Quilio era uno delle decine di migranti italiani rimasti uccisi nell'incendio della miniera belga nel 1956

Ci sono voluti 67 anni, ma alla fine il corpo dell'abruzzese Dante Di Quilio, una delle vittime del disastro di Marcinelle, in Belgio, è stato identificato. I suoi resti erano stati seppelliti in una fossa comune, insieme a quelli di altri sedici minatori travolti dall'incendio che uccise 262 persone, di cui 136 migranti italiani. La famiglia non si è mai arresa, e grazie a un test del Dna è riuscita finalmente a scovarlo e a dare una lapide alle sue spoglie. Una notizia che la moglie ha appreso pochi giorni prima di morire.    

È la mattina dell’8 agosto 1956 quando un incendio, scatenato da una serie di scintille elettriche a contatto con dell'olio fuoriuscito da una condotta tranciata da un ascensore in risalita, riempie di fumo la galleria principale della miniera di Bois du Caziere, sorprendendo centinaia di minatori. Nelle settimane successive si susseguono le operazioni di recupero delle vittime. In breve, molte salme vengono identificate e rimpatriate, ma 17 morti restano ignoti. Tra di loro c’è anche Di Quilio, che rimarrà per decenni sepolto in un piccolo cimitero belga accanto agli altri rimasti senza nome. Nell’ottobre del 2021 le spoglie dell’abruzzese vengono riesumate e, grazie all’esito positivo della corrispondenza di un campione con quello prelevato dalla figlia, nelle settimane scorse è arrivato l’atteso verdetto.

La famiglia, che si è detta "commossa", ha fatto sapere che la moglie del defunto ha appreso la notizia poco prima di morire, "consapevole che si sarebbe ricongiunta a lui". Il presidente dell’associazione per le vittime del Bois du Cazier, Nino Di Pietrantonio, ha commentato la notizia aggiungendo dettagli su una possibile ulteriore identificazione, quella di Eduardo Romasco, anch’esso abruzzese, partito negli anni ’50 alla volta del Belgio dal piccolo paese di Manoppello. "A distanza di anni c’è ancora tanta rabbia nei confronti delle autorità belghe che non hanno aiutato a fare chiarezza", ha detto il presidente, che aggiunge: "Io ho perso mio padre nell’incidente, era andato in quella miniera lontana come oggi arrivano in Italia giovani africani che scappano dalla propria terra per fame e disperazione".

Sul corpo di Romasco non ci sono notizie certe, come precisato dal sindaco di Alamo, Oscar Pezzi, che si è detto pronto a organizzare una cerimonia in favore di Dante Di Quilio, definito dal primo cittadino "un martire del lavoro e dell’immigrazione". Anche se in numero minore rispetto a prima, sono ancora diversi i defunti in attesa di essere identificati, se l’esito dell’esame antropologico e odontoiatrico si è dimostrato risolutivo per il caso Di Quilio, altrettanto non è stato per quattro corpi riesumati insieme a quello dell’italiano. "Le convergenze non hanno restituito il grado di certezza desiderato", ha precisato l’avvocato Jean-Philippe Mayence.

Tra i nomi esclusi emerge quello di Francesco Cicoria, i cui figli non demordono ed hanno fatto sapere che chiederanno a breve un’altra riesumazione. "Il cerchio non è ancora chiuso, ma ulteriori test potranno rispondere alle domande che ci poniamo da decenni", ha detto Michele Cicora, figlio del minatore ancora ignoto. "Io, mio fratello e mia sorella non smetteremo di chiederci dove sia nostro padre, altrimenti le ferite non si rimargineranno mai", ha concluso Cicora.         

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