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Giovedì, 28 Marzo 2024
Affari e diritti / Egitto

Dall'Egitto oltre 18mila migranti nel 2022. Ma per l'Italia contano più gas e armi

È il primo Paese per origine dei richiedenti asilo sbarcati sulle nostre coste. Ma siamo anche il primo partner commerciale europeo del Cairo

La foto che ritrae la premier Giorgia Meloni mentre stringe la mano al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi all'arrivo alla Cop27 ha suscitato le polemiche di chi ricorda ancora come una ferita aperta l'omicidio di Giulio Regeni, sui cui responsabili non è mai stata fatta completa chiarezza. La leader italiana non è la prima, né sarà l'ultima dei capi di Stato e di governo (europei e occidentali) a mettere da parte la questione dei diritti umani a favore della realpolitik: troppi e solidi, se non strategici, sono i legami commerciali tra l'Italia e l'Egitto, dal gas alle armi. Ma c'è un altro legame che salta agli occhi in questi giorni in cui il nuovo esecutivo a guida centrodestra sta mostrando i muscoli nei confronti delle decine di migranti salvati dalle ong: proprio l'Egitto è diventato il primo Paese di provenienza dei richiedenti asilo che sbarcano sulle nostre coste.

I flussi di migranti e il flop Ue

Stando agli ultimi dati del Viminale, degli 88.100 migranti arrivati in Italia a bordo di imbarcazioni dall'inizio dell'anno al 7 novembre, ben 18.217 hanno dichiarato di essere cittadini egiziani. Si tratta del gruppo nazionale più ampio tra quelli certificati dal ministero dell'Interno: quasi 1 "clandestino" su 4 è fuggito dal Paese (o regime che dir si voglia) di Al-Sisi, una quota in netto aumento rispetto agli ultimi anni. Questa crescita di flussi dall'Egitto è un palese fallimento delle politiche di cooperazione adottate dall'Ue e dall'Italia con Il Cairo, costate decine di milioni di euro. 

Eppure, quella con l'Egitto sembrava una storia di successo, almeno sull'immigrazione. Stando a un rapporto dell'European Union agency for asylum, dal Paese nordafricano non partono più, o quasi, imbarcazioni di migranti irregolari. Nel 2016, ricorda il Manifesto, Il Cairo ha adottato una legislazione severissima contro il traffico di esseri umani "che prevede per i trafficanti la reclusione, i lavori forzati e multe comprese tra 200mila e 500mila lire egiziane (circa 10mila e 25mila euro)". Le 'buone intenzioni' di al-Sisi sono state ben ripagate dall'Europa, che proprio nel 2016 ha stanziato 60 milioni di euro per aiutare la guardia costiera locale a fermare le barche. Altri 80 milioni arriveranno nei prossimi anni grazie a un accordo siglato a ottobre. L'Italia ha aggiunto il suo personale sostegno, fornendo mezzi e assistenza alle autorità egiziane. Il problema, però, è che i flussi di migranti, anziché scomparire, hanno cambiato direzione: da una parte verso la Turchia, e dall'altro, in numero maggiore, verso la Libia. In entrambi i casi, i fussi avevano come destinazione un Paese europeo in particolare: l'Italia. I dati del ministero lo confermano.  

Cosa farà il governo Meloni con Al-Sisi? Chiederà un maggiore impegno per fermare i trafficanti via terra, e non solo quelli via mare? Renderà più efficare l'accordo sui rimpatri già in vigore tra Roma e Il Cairo che finora ha portato a qualche centinaio di rimpatri forzati verso l'Egitto in 4 anni, tra l'altro sollevando i dubbi dal Garante delle persone private di libertà? Di sicuro, volendo attuare queste misure, l'Italia ha delle leve su cui giocare. Siamo il primo partner commerciale dell’Egitto e il quinto a livello globale, oltre a essere il secondo Paese di destinazione delle merci egiziane.

Gli affari tra Italia e Egitto 

Tra il 2017 e il 2021, nonostante le tensioni sul caso Regeni, la nostra industria bellica ha continuato a fare affari niente male con Il Cairo: il 28% delle armi made in Italy esportate nel mondo è stato acquistato proprio dall'Egitto, secondo il report del Sipri. Senza dimenticare gli affari nella terra delle piramidi di deu big del settore energetico tricolore, Eni e Snam Come ha ricostruito un dossier di Recommon, "l’Egitto è il Paese dove si trova il volume maggiore delle riserve di gas di Eni, oltre il 20% del totale. La produzione nel Paese della principale multinazionale energetica italiana, partecipata dallo Stato, rappresenta il 60% del totale nazionale". Grazie soprattutto ai progetti di Eni, sostiene Recommon, "il regime di al-Sisi ha conquistato un ruolo di primo piano sullo scacchiere energetico internazionale. C’è poi Snam, “il più grande operatore del sistema di trasporto del gas in Europa, società anch’essa partecipata dallo Stato italiano, che ha acquistato il 25% della East Mediterranean Gas Company (EMG), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon tra Israele ed Egitto, anche noto come Gasdotto della pace”, scrive Recommon. 

Tutti questi investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e alle istituzioni finanziarie. In prima fila, continua Recommon, “c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo. Partecipata anche dallo Stato egiziano, Bank of Alexandria si vanta di essere il canale privilegiato per gli investimenti italiani nei settori strategici per l’Egitto, in primis il comparto oil&gas e quello dell’acquisto di armi, tanto ‘caro’ al regime”. A garanzia di queste relazioni, infine, “troviamo SACE, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, la cui esposizione storica nei confronti del regime egiziano supera i 4 miliardi di euro”. Secondo Recommon, questo reticolo di affari è carente in termini di trasparenza. “Sarebbe a dir poco auspicabile fare finalmente chiarezza sui troppi aspetti oscuri delle relazioni tra Italia ed Egitto, portate avanti dai ‘campioni’ industriali e finanziari nostrani”, scrive l’organizzazione. “Se ciò non dovesse avvenire, sarà l’ennesima prova che gli interessi economici hanno sempre la meglio rispetto alla tutela dei diritti delle persone”, conclude Recommon.

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