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Sabato, 20 Aprile 2024
Biodiversità / Francia

L'isola dove centinaia di gatti saranno uccisi (per salvare gli albatros)

A Kerguelen, un arcipelago di isole sub-antartiche nell'Oceano Indiano meridionale, i felini stanno mettendo a duro repentaglio la vita delle specie autoctone

Insieme ai cani, i gatti sono i nostri animali domestici preferiti. Ma i gatti randagi vivono anche spesso ancora allo stato selvatico, tornando ad essere quello che sono stati per migliaia di anni: dei cacciatori. E sono cacciatori tanto abili che quando sono troppo, possono mettere in pericolo la sopravvivenza delle specie di cui si nutrono.  

Nelle isole Kerguelen, un arcipelago francese di isole sub-antartiche nell'Oceano Indiano meridionale, i felini stanno mettendo a duro repentaglio la vita delle specie autoctone, in primis gli albatros. Questi uccelli prima non avevano rivali nella regione, ma poi nel 1950 insieme agli uomini arrivarono i primi gatti, solo cinque. Oggi la popolazione di felini ha raggiunto diverse migliaia ma è difficile sapere con esattezza quanti di loro siano tornati in natura. Le stime dei ricercatori dell’istituto polare francese (Ipev) parlano di 7/8mila esemplari.

L'arcipelago è diventato l'illustrazione di un complesso flagello ecologico: quello dell'effetto dei gatti selvatici sulla biodiversità. "Sono uno tsunami di violenza e morte per le specie autoctone", dichiarò il ministro dell'Ambiente australiano nel 2015, quando nell'isola-continente si decise di uccidere 2 milioni di gatti selvatici. Anche nell'Europa continentale e negli Stati Uniti i nostri compagni baffuti sono regolarmente indicati come animali nocivi per la fauna selvatica.

Uno studio condotto nel 2012 dallo Smithsonian Conservation Biology Institute di Washington ha fatto il giro del mondo. Il documento indica i gatti randagi come "la principale causa di mortalità della fauna selvatica negli Stati Uniti", sostenendo che uccidono tra 1,4 e 3,7 miliardi di uccelli e tra 6,9 e 20,7 miliardi di piccoli mammiferi all'anno. Uno studio, pubblicato nel marzo 2021 sulla rivista svizzera Springer Nature da un team di ricercatori guidati da Christophe Barbraud, è riuscito a dimostrare un legame tra la predazione felina e la riduzione delle possibilità di riproduzione negli albatri delle Kerguelen.

"Il successo riproduttivo dove sono stati registrati attacchi ai pulcini è stato basso (12 per cento) rispetto alle aree senza attacchi (86 per cento)", scrivono gli autori, che hanno utilizzato trappole fotografiche posizionate nella penisola di Courbet, a est di Grande-Terre. Nelle isole Kerguelen ad essere particolarmente in pericolo sono gli albatros, che, nonostante la potenza delle loro ali, rimangono vulnerabili a un pericolo da cui non hanno mai imparato a difendersi. I ricercatori hanno documentato 17 attacchi a 13 pulcini. Di questi 13 pulcini, solo 3 sono sopravvissuti. Ciò porta il successo di caccia di questi gatti al 76 per cento, un tasso superiore a quello del gatto nero dell'Africa meridionale, considerato il killer più efficiente dell'intera famiglia felina.

Il centro di ricerca ritiene che "gli sforzi di conservazione dovrebbero concentrarsi sull'eradicazione dei felini, poiché passerà molto tempo prima che altre minacce per questa specie, come l'impigliamento nelle reti da pesca, la contaminazione da parte di agenti inquinanti o il cambiamento climatico, possano essere mitigate". Sebbene le autorità delle Terre Australi e Antartiche francesi abbiano ricevuto l'ordine di non pubblicizzare troppo l'eradicazione dei gatti, soprattutto ai giornalisti, la caccia ai gatti è in corso da molto tempo a Kerguelen (nel resto della Francia è ancora vietata e punita dalla legge).

Oggi, la gestione del problema dei gatti è nelle mani degli agenti della riserva naturale che però non hanno le risorse necessarie per affrontare il problema. I volontari, ad esempio, sono attualmente gli unici in grado di maneggiare le armi da fuoco disponibili in un distretto. Ma questi giovani spesso non hanno né la licenza di caccia né esperienza nel maneggiare le armi.

Per combattere i predatori esistono due strategie contrapposte: il cosiddetto metodo "TNR" ("Trap-Neuter-Return": cattura-sterilizzazione-rilascio) e lo sterminio puro e semplice (mediante veleno, armi da fuoco o eutanasia dopo la cattura), che talvolta assume la forma estrema dell'eradicazione totale. Le associazioni per la protezione degli animali sono indignate per questo "genocidio animale" e suggeriscono invece la sterilizzazione di massa, per lasciare che le popolazioni diminuiscano naturalmente. Ma spesso questa pratica è molto complicata e per questo si preferisce l'eliminazione.

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