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Giovedì, 28 Marzo 2024
Lo scenario / Francia

Marine Le Pen può vincere davvero le presidenziali?

Macron, responsabile della distruzione dei partiti tradizionali, ora avrà bisogno di tutto il loro supporto per battere la sua avversaria in crescita nei consensi grazie anche alla svolta moderata

Dopo il primo turno delle presidenziali francesi tutti si chiedono la stessa cosa: Marine Le Pen può davvero battere Emmanuel Macron? I risultati  di domenica scorsa parlano chiaro: i partiti tradizionali sono evaporati, mentre più di metà dei voti è andata a candidati radicali ed anti-sistema sia di destra che di sinistra. Al centro di questo cataclisma politico, il presidente uscente ha ottenuto un primo posto che però non gli dà la certezza di riuscire a compiere tranquillamente l’ultimo miglio. E dovrà fare molta più fatica di cinque anni fa, quando sbaragliò l’avversaria quasi doppiandola, per vincere al ballottaggio del prossimo 24 aprile: stavolta, oltre al fronte anti-Le Pen potrebbe materializzarsene anche uno anti-Macron.

C’è dell’ironia in questa dinamica. Fu proprio Macron, nel 2017, a fare tabula rasa dei grandi partiti di massa, i Socialisti e i Repubblicani, che avevano governato la Quinta repubblica francese per sei decenni. Proclamandosi “né di destra né di sinistra”, dissanguò entrambi gli schieramenti e poco dopo espugnò anche l’Assemblea nazionale dove la sua coalizione elesse 350 deputati su 577. Ma oggi, all’inquilino dell’Eliseo farebbe comodo poter contare su quel bacino di voti “moderati” che, semplicemente, non esiste più. Parti socialiste e Républicains hanno fatto meno del 7% insieme: sicché ora Monsieur le Président è costretto dall’alto del suo 27,8% ad elemosinare i consensi della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon (22%) per vincere contro l’estrema destra di Le Pen (23%).

Per alcuni il risultato di domenica segnalerebbe che gli elettori lepenisti e melenchonisti sono più distanti da Macron di quanto non lo siano tra loro, visti anche i diversi punti in comune nei programmi dei rispettivi candidati. Mentre il capo di Stato uscente viene visto come il “presidente dei ricchi”, sia Mélenchon che Le Pen si sono spesi sui temi sociali: sulla difesa del potere d’acquisto dei francesi, sulla necessità di proteggere i più vulnerabili dalla globalizzazione, sull’abbassamento dell’età pensionabile. E le circoscrizioni operaie un tempo roccaforte del Parti communiste oggi votano in massa per il Rassemblement national di Le Pen.

Insomma, la strada di Macron per sfondare al secondo turno sembra tutta in salita. Non può contare sugli elettori di destra, che sosterranno Le Pen, né è ben visto da quelli di sinistra, tanto per le sue scelte politiche ed economiche (che percepiscono come di destra, complice anche il fatto che entrambi i primi ministri del presidente sono stati scelti tra i Repubblicani) quanto per la sua arroganza personale (vista ad esempio nell’avvio tardivo della campagna elettorale, come se fosse sicuro di centrare il bis). Molti di quelli che lo hanno sostenuto alle scorse presidenziali si sentono traditi e non sono sicuri di votarlo di nuovo. E il presidente uscente lo sa.

Come sa che il “fronte repubblicano” che in passato ha sbarrato la via dell’Eliseo ai candidati dell’estrema destra stavolta rischia di non funzionare, principalmente grazie al successo della strategia di “normalizzazione”  messa in campo dalla sfidante. Anche grazie all’arrivo sulla scena dell’ex giornalista Éric Zemmour (che ha adottato una retorica martellante di guerra culturale per la “riconquista” della Francia), la 53enne è riuscita a mostrarsi più “moderata” rispetto al passato, erodendo il consenso dei Repubblicani che sono crollati a meno del 5% dal 20% del 2017. E, in un cambio radicale di passo, ha dismesso i toni rivoluzionari e si è dipinta come una figura che unisce, indicando al contrario Macron come un presidente divisivo.

Il forte ritorno di Le Pen suggerisce quindi che il suo tentativo di “disintossicare” l’immagine razzista del suo partito ha dato i suoi frutti, nonostante abbia alienato alcuni fedeli sostenitori (tra cui la nipote Marion Maréchal, che ha dichiarato di sostenre Zemmour). Ma questo potrebbe in realtà giocare in suo favore: se Le Pen è riuscita a “cannibalizzare” il centro-destra, potrà comunque contare al ballottaggio su quel 7% che Zemmour le aveva sottratto al primo turno, oltre ad una buona porzione degli “orfani” di Mélenchon (secondo i sondaggi, tra il 20% e il 30% dei suoi elettori voterebbero per la candidata del Rassemblement national, anche se il dato è più basso rispetto a chi sceglierebbe Macron).

Senza contare che, attualmente, il livello di gradimento della leader è sostanzialmente uguale a quello del presidente, mentre alcuni sondaggi hanno rilevato che Le Pen sarebbe la seconda personalità politica più benvista dai francesi dopo l’ex premier Édouard Philippe. Insomma, una combinazione tra la diffusa antipatia per Macron e l’inedita accettabilità della sua rivale potrebbero rendere l’esito finale della corsa per l’Eliseo più imprevedibile del solito. Tanto che le forchette delle percentuali al ballottaggio oscillano tra il 53%-47% e il 51%-49%, sempre a favore del presidente uscente ma con un distacco che si fa sempre più risicato. Per il sondaggista Pierre-Hadrien Bartoli di Harris Interactive, “una vittoria di Le Pen non è lo scenario più probabile – rimane Macron – ma non è impossibile”.

Nella sua campagna elettorale, Le Pen è passata dalla lotta contro l’immigrazione, la reintroduzione della pena di morte e l’uscita dall’euro al tema dell’aumento del costo della vita, ampliando la sua base di elettori. Ha evitato i grossi raduni optando per una campagna di prossimità sul territorio, a incontrare le comunità più colpite dalla crisi dei prezzi e da quella pandemica. Ed è apparsa decisamente più preparata anche sui temi economici rispetto a cinque anni fa. Quella volta, il dibattito in tv contro Macron fu un disastro per lei (che arrivò all’aggressione verbale) e pesò in maniera non indifferente sull’esito delle urne. Ma secondo gli osservatori il prossimo 20 aprile, quando incontrerà di nuovo il suo eterno rivale faccia a faccia, non commetterà gli stessi errori.

Tuttavia, l’immagine di Le Pen resta ancora difficilmente digeribile per molti elettori, il che potrebbe penalizzarla nel ballottaggio. Di fatto, sottolineano gli analisti, al netto di qualche ritocco sui punti più controversi il suo programma politico non è cambiato: ad esempio reintrodurre controlli di frontiera più stretti, stabilire una “preferenza nazionale” che permetterebbe di favorire i francesi rispetto agli immigrati (anche quelli legalmente residenti) e vietare alle donne islamiche di indossare il velo nei luoghi pubblici. L’unica cosa ad essersi ammorbidita, piuttosto, è il modo in cui Le Pen presenta se stessa: vicina ai cittadini comuni e distante dal palazzo.

Basterà a coprire la realtà di un programma che è rimasto estremista? E non solo a livello domestico: anche in Europa una presidenza Le Pen implicherebbe un cambio di passo epocale per uno dei Paesi fondatori e la seconda economia del blocco, che si allineerebbe alle cosiddette “democrazie illiberali” dei membri centro-orientali. Anche se non predica più l’uscita di Parigi dall’Ue, la leader del Rassemblement national vorrebbe porre fine alla supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, che è di fatto l’assunto giuridico su cui si fonda l’Unione, e fondare un’Europa delle Nazioni. Le Pen dice anche di voler ridurre il contributo della Francia al bilancio Ue, oltre a voler far uscire Parigi dal comando integrato della Nato.

Sondaggi a parte, le due settimane che ci separano dal secondo turno del 24 aprile saranno fondamentali. Una fascia consistente dell’elettorato francese è ancora indecisa, ed entrambi i candidati stanno già combattendo per conquistarne il voto. Il dibattito televisivo di mercoledì prossimo sarà probabilmente molto più intenso del precedente, data la sostanziale parità nella preparazione dei due contendenti. Per quanto il presidente uscente rimanga il favorito, la sua avversaria stavolta sembra avere davvero le chance per vincere, forse per la prima ed ultima volta. Del resto in politica non esistono risultati scontati. 

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