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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Il 95 per cento delle donne ha accesso all'aborto (ma solo in teoria)

Tranne in nazioni come Malta e Polonia l'accesso all'interruzione di gravidanza è consentito in gran parte d'Europa, ma ci sono diversi impedimenti che rendono la pratica difficile per molte donne

Quello all'aborto è un diritto che viene ormai dato quasi per scontato in Europa. Se negli Usa solo lo scorso anno 14 Stati hanno approvato divieti quasi totali, in seguito a una molto discussa sentenza della Corte suprema, nel nostro continente oltre il 95% delle donne vive in Paesi che consentono un certo accesso all'interruzione di gravidanza. Un'analisi della legislazione in tutto il continente mostra però che l'aborto ha ancora diversi limiti, che vanno da ostacoli legali alla mancanza di medici disposti a praticarlo. In totale 39 Paesi europei hanno legalizzato l'interruzione di gravidanza su richiesta, anche se con alcune restrizioni, sei nazioni prevedono limiti severissimi e tre (Andorra, Malta e San Marino) non la consentono affatto.

La Polonia è la nazione che ha più recentemente introdotto delle nuove restrizioni e consentito la pratica solo alle donne che hanno subito abusi sessuali o che sono in pericolo di vita, ma per nessun'altra ragione. Ma l'accesso al diritto all'aborto, anche quando è sancito dalla legge, ha comunque dei limiti oggettivi in diversi Paesi, limiti criticati dalle associazione in difesa delle donne. "Vivere in Europa significa partecipare alla lotteria dell'aborto", afferma Megan Clement, redattrice della newsletter femminista Impact. "L'accesso all'aborto è estremamente frammentario e c'è pochissima congruenza tra i Paesi o anche all'interno dei Paesi. Dipende totalmente dal luogo in cui si vive la possibilità di accedere a un aborto sicuro in tempi ragionevoli".

Secondo il Center for Reproductive Rights, un'organizzazione statunitense di difesa legale globale che cerca di promuovere i diritti riproduttivi, uno degli ostacoli all'aborto, anche quando legale, sarebbe il periodo obbligatorio di attesta dopo la richiesta della donna. "Questi periodi di attesa minano l'accesso a cure tempestive e cure tempestive ed economiche e limitano i diritti umani e l'autonomia decisionale. diritti umani e l'autonomia decisionale. L'Oms specifica che le leggi non dovrebbero imporre ritardi non ritardi non necessari dal punto di vista medico", sostiene l'associazione in un suo studio. Sono quattordici i Paesi europei che richiedono un periodo di tempo obbligatorio tra la data in cui viene richiesto l'aborto e quella in cui viene praticato. Questi Paesi sono: Albania, Armenia, Belgio, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo, Federazione Russa, Slovacchia e Spagna.

Fondamentale, per assicurare il diritto all'aborto, è che sia poi consentito entro un lasso di tempo ragionevole rispetto al concepimento. In Portogallo ad esempio tranne in casi come stupro, rischio per la vita della madre o una malformazione fetale, l'interruzione di gravidanza è consentita solo fino a 10 settimane dal concepimento, une delle finestre più brevi d'Europa. Questo significa che visto che molto spesso i primi sintomi di gravidanza compaiono dopo otto settimane, spesso restano circa 14 giorni a una donna o una coppia per decidere cosa fare. Lasso di tempo che è anche più corto se si pensa che la legge portoghese richiede una consultazione pre-aborto con un medico, un esame di laboratorio e un periodo di riflessione di tre giorni prima dell'intervento. La maggior parte degli altri Paesi europei fissa il limite a 12 settimane, ma alcuni studi suggeriscono che, per molte donne, anche questo tempo non è sufficiente. Solo nel 2018, più di 3mila residenti in Europa si sono recate in Inghilterra e Galles (che consente l'aborto fino a 24 settimane) per ottenere l'intervento, soprattutto da Irlanda, Francia, Germania, Danimarca, Malta, Italia e Polonia.

Anche la consulenza obbligatoria, prima di poter accedere all'interruzione di gravidanza, è ritenuta dal Center for Reproductive Rights, come uno degli ostacoli non necessari al diritto di aborto se troppo invasiva. Al momento l'obbligo di parlare e ottenere un parere di un esperto prima di decidere se andare avanti con la gravidanza esiste in 13 Paesi europei: Albania, Armenia, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Germania, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo, Federazione Russa, Slovacchia e Ungheria. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sconsiglia i periodi di attesa obbligatori e altre barriere politiche all'aborto "non necessarie dal punto di vista medico". "Queste barriere possono portare a ritardi critici nell'accesso alle cure e mettere donne e ragazze a maggior rischio di aborto non sicuro, stigmatizzazione e complicazioni sanitarie, aumentando al contempo le interruzioni dell'istruzione e della loro capacità di lavorare", afferma l'Oms.

Il Center for Reproductive Rights sottolinea anche che in alcuni Paesi, come la Germania e l'Ungheria, le leggi impongono una consulenza esplicitamente finalizzata a influenzare il processo decisionale e ad abbandonare la decisione di porre termine alla gravidanza. "I requisiti obbligatori di consulenza minano i diritti umani e sono particolarmente dannosi quando comportano la fornitura di informazioni parziali. L'Oms raccomanda che la consulenza prima dell'aborto non sia mai un requisito legale e che le informazioni sull'aborto siano sempre imparziali, non direttive e medicalmente accurate".

Caso a parte, che sta facendo discutere in tutta l'Europa, è quello italiano. Nel nostro Paese esiste il diritto all'obiezione di coscienza, un medico cioè ha il diritto di rifiutarsi di praticare un aborto se va contro le sue convinzioni religiose o etiche. Questo diritto in sé non mina il diritto all'aborto, ma diventa un impedimento quando le strutture sanitarie non assicurano che in ogni presidio ci siano comunque dei medici che lo praticano. "In alcuni Paesi europei l'accesso all'assistenza all'aborto è compromesso dall'incapacità dei governi di affrontare in modo appropriato il rifiuto di singoli medici di fornire assistenza all'aborto per motivi di coscienza o religione. In Italia, ad esempio, le autorità statali non riescono a garantire che questi rifiuti non si traducano in ritardi o nella negazione dell'assistenza a coloro che richiedono cure legali per l'interruzione di gravidanza", denuncia il Center for Reproductive Rights.

Se l'Italia è uno degli "esempi più lampanti" di obiezione di coscienza in Europa, per Irene Donadio, portavoce della Federazione Internazionale della Genitorialità Pianificata (Ippf), il nostro non è l'unico Paese in cui la mancanza di operatori blocca l'accesso all'interruzione di gravidanza. "C'è un problema in Croazia, c'è un grosso problema in Germania, c'è un problema in Spagna. L'Italia è solo uno dei tanti".

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