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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Nessuno degli Stati Ue ha recepito la direttiva sulla protezione dei "whistleblower"

In vigore dal 2019, la normativa prevede un sistema per aiutare gli informatori che divulgano informazioni su illeciti, ma non è ancora stata tradotta nelle legislazioni nazionali

Tutti bocciati. Se si fosse trattato della consegna di un elaborato scolastico, questo sarebbe stato l’esito della prova per i Paesi Ue. Nessuno è stato in grado di rispettare la scadenza del 17 dicembre scorso per recepire la direttiva sui whistleblower (gli informatori), in vigore dal 2019. La normativa (che ha attirato diverse critiche) dovrebbe proteggere chi fornisce informazioni circa violazioni del diritto europeo all’interno dell’Unione, ma dopo due anni si trova ancora in fase di “ricezione” dagli Stati membri.

Chi sono i whistleblower

I whistleblower, letteralmente, sono coloro che “suonano il fischio”, cioè soggetti che fanno trapelare informazioni normalmente riservate (o comunque non di dominio pubblico) all’esterno di organizzazioni di vario tipo. Informatori, insomma, che suonano l’allarme circa pratiche scorrette, o almeno presunte tali, di cui vogliono rendere partecipe il grande pubblico e, spesso, la magistratura. Nelle parole di Věra Jourová, commissaria per i Valori e la trasparenza citata da Euractiv, “i whistleblower sono persone coraggiose disposte a portare alla luce attività illegali – spesso con grande rischio per la loro carriera e i loro mezzi di sostentamento – per proteggere il pubblico dagli illeciti”. E dunque, ha aggiunto, “meritano riconoscimento e protezione per le loro azioni coraggiose”.

Tipicamente, si tratta di insider, cioè di persone che fanno (o hanno fatto) parte dell’organizzazione stessa che diventa obiettivo delle loro accuse. Uno dei casi più eclatanti è quello di Edward Snowden, l’ex agente della Cia che nel 2013 ha rivelato informazioni altamente sensibili che misero il governo statunitense (e non solo) in grande imbarazzo relativamente ad ampi programmi di sorveglianza di massa, domestica e globale. L'uomo ora vive in Russia, che gli ha concesso protezione, ma rischia l'arresto negli States.

Più recentemente, l’ex-dipendente di Facebook (ora Meta) Frances Haugen ha gettato luce sulle pratiche scorrette dell’azienda di Mark Zuckerberg, sostenendo che abbia anteposto i profitti al benessere degli utenti.

Tempo scaduto

La direttiva in questione è stata pensata per proteggere chi denuncia le violazioni del diritto Ue. Secondo la Commissione, che ha proposto il testo nel 2018, l’approccio dei Paesi membri era “disomogeneo e frammentato”, con il risultato che “i whistleblower sono spesso scoraggiati dal segnalare le loro preoccupazioni per paura di ritorsioni”. La proposta legislativa era poi stata adottata ad ottobre 2019, entrando in vigore il dicembre dello stesso anno. E gli Stati avevano tempo fino a venerdì scorso per recepirla nel proprio ordinamento interno. Cosa che, tuttavia, nessuno si è ancora preoccupato di fare. Dei Ventisette, 24 sono in corso d’opera mentre Cipro, Lussemburgo e Ungheria ancora non hanno iniziato questo processo, stando ai dati di EU Whistleblowing Monitor.

Il nuovo governo tedesco ha fatto sapere di volerla recepire in modo “pratico e legalmente impermeabile”, annunciando una bozza al più presto dopo che il tentativo del precedente esecutivo si era infranto contro le divergenze di vedute tra socialdemocratici (Spd) e conservatori (Cdu/Csu). In Croazia, il testo normativo è in attesa di approvazione parlamentare. La Romania ha avviato la trasposizione della direttiva europea nel proprio ordinamento giuridico, ma non è chiaro se il processo sia stato completato. Quanto alla Repubblica Ceca, la protezione dei whistleblower è inclusa nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) post-pandemica. In Slovenia, infine, il ministero della Giustizia ha detto che il provvedimento era soggetto ad un “coordinamento interdipartimentale” ad inizio dicembre, con l’obiettivo di approvare la legge entro la prossima primavera.

Cosa prevede la norma

Il pacchetto legislativo riguarda la divulgazione di pratiche o atti che violano il diritto comunitario in diversi settori, tra cui i servizi finanziari, la sicurezza dei prodotti, gli aiuti di Stato, gli appalti pubblici, la sicurezza ambientale, la privacy ecc. Chi “suona il fischietto” disporrà di uno scudo contro il licenziamento, la sospensione, la retrocessione e altre sanzioni disciplinari, indipendentemente dalla sua posizione nella gerarchia aziendale. La Commissione definisce in questo modo un quadro giuridico completo per i whistleblower: sono previsti la creazione di canali accessibili per le segnalazioni, il rafforzamento dell’obbligo di riservatezza dell’informatore, il divieto di ritorsioni contro chi fa trapelare informazioni sensibili e l’istituzione contestuale di specifiche misure di tutela (come nei programmi di protezione dei testimoni nei processi giudiziari più delicati, ad esempio contro le mafie). Queste norme si dovrebbero applicare ad ogni azienda o ente pubblico con 250 dipendenti o più, mentre dal 2023 verranno estese anche alle entità con almeno 50 dipendenti.

Denuncia in tre fasi

A livello pratico, gli informatori dovranno seguire una procedura in tre fasi, da attivarsi nel seguente ordine qualora non si ottenessero risultati soddisfacenti: prima va avvertita l’entità ove avviene la violazione tramite canali interni, in caso d’inerzia dell’azienda/ente vanno allertate le autorità pubbliche e, se neanche questo produce alcun risultato, si possono divulgare pubblicamente le informazioni.

Ma secondo i critici, questo sistema mette i whistleblower nella posizione scomoda di denunciare gli illeciti proprio a coloro che li stanno commettendo, mettendo a repentaglio l’efficacia della loro azione e finendo anzi per scoraggiarli. Anche il ruolo ridimensionato dei media è stato oggetto di attacchi alla proposta normativa. Dal canto loro, sia l’Onu che l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) hanno chiesto maggiori garanzie per gli informatori, che andrebbero lasciati liberi di utilizzare i canali che ritengono più appropriati per divulgare le informazioni.

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