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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Non solo Covid: i 10 fatti europei che hanno segnato il 2020

Da Navalny alla Bielorussia, dal Green deal alla Brexit: ecco cosa è successo in Europa in questo anno segnato dalla pandemia

Troppa carne al fuoco. Il 2020 è stato un anno difficile, per usare un eufemismo, un po’ per tutto il mondo. E senza dubbio l’Europa si è trovata a dover affrontare sfide ancora più dure dettate non solo dalle nuove emergenze, come il disastro pandemico e le tensioni geopolitiche internazionali, ma anche dai vecchi nodi venuti al pettine solo nell’anno quasi concluso. Questioni come la Brexit, il cambiamento climatico e la gestione dei flussi migratori fanno ormai parte della quotidianità europea da diversi anni, ma la resa dei conti si è giocata solo negli ultimi dodici mesi, facendo passare inosservati avvenimenti destinati a finire sui libri di storia. Per questo abbiamo deciso di ricordare a ritroso le dieci notizie più importanti che hanno visto l’Ue come protagonista. 

L'accordo sulla Brexit

La conclusione entro l’anno di un accordo con il Regno Unito che andasse a scongiurare l’introduzione dei dazi doganali e una serie di altri disagi dal 1 gennaio 2021 è rimasto per mesi il traguardo più difficile da raggiungere. Tanto che pure gli investitori hanno mostrato a più riprese segnali d’insofferenza a una situazione che andava ad aggiungere incertezza a un quadro reso ancora più imprevedibile rispetto al disastroso contesto generale. Eppure, i rappresentanti di Londra e Bruxelles sono riusciti a siglare un malloppo di disposizioni concordate giusto qualche giorno prima che il cigno nero del ‘no-deal’ si prendesse la scena. La parola fine al capitolo Brexit verrà messa solo quando il Parlamento europeo, assieme agli Stati Ue e al Regno Unito, ratificheranno quando stabilito dai due capi-negoziatori Michel Barnier e David Frost. 

Il bilancio pluriennale Ue

Quella del quadro finanziario pluriennale è un’altra partita che si sarebbe dovuta giocare e concludere prima del 2020, ma che invece si è protratta fino all’ultimo mese dell’annus horribilis. Il bilancio Ue - che viene concluso ogni sette anni - si è trovato in scadenza proprio negli stessi mesi in cui il Vecchio Continente era alle prese con la pandemia e cercava di limitare i danni delle due ondate di contagi che hanno investito l’Europa. Gli Stati Ue, già divisi al vertice di febbraio, hanno trovato un pre-accordo solo a luglio durante lo storico Consiglio europeo che ha dato il via libera anche al piano Next Generation EU, meglio noto in Italia come Recovery Fund. A riaprire i giochi è stato il veto di Ungheria a Polonia all’intero bilancio pluriennale a causa delle nuove disposizioni sulla tutela dello stato di diritto (ci torneremo). Di qui la necessità di ‘rassicurare’ i due Paesi dell’Est Europa durante il vertice di dicembre, che ha dato il via libera finale al pacchetto finanziario che - unito al Recovery Fund - ammonta a un totale di 1.800 miliardi di euro per il periodo 2021-2027.

La riforma del Mes

Un altro dossier pesante come un macigno e concluso nelle ultime settimane del 2020 è quello della riforma del Meccanismo europeo di stabilità, che si è accompagnata al fondo di garanzia per il salvataggio delle banche in difficoltà. Il processo di avanzamento della cosiddetta Unione bancaria si era arenato perché un Paese, dopo aver espresso un ok di massima alla riforma, si era reso conto di non avere la maggioranza in Parlamento per far passare il testo. Questo Paese è l’Italia, dove il Mes è ormai definito un argomento politicamente ‘tossico’. Ciononostante, il Belpaese ha recentemente dato l’ok finale al testo, ma ha anche promesso che non accederà mai ai fondi messi a disposizione dall’istituto intergovernativo con sede in Lussemburgo. Tantomeno a quelli offerti per far fronte alla crisi pandemica.  

Lo stato di diritto

Un’altra partita negoziale che ha tenuto svegli la notte tanti eurodeputati e diplomatici è stata quella della tutela dello stato di diritto. Il meccanismo, originariamente proposto dalle istituzioni Ue nel 2018, prevede un possibile stop ai finanziamenti europei per quei Paesi che non rispettano l’indipendenza dei giudici, che non combattono corruzione e frodi fiscali e che mettono a repentaglio il pluralismo dei media. Una proposta voluta soprattutto dal Parlamento europeo e, secondo tanti osservatori, destinata a finire annacquata e rimandata a data da destinarsi. A mettersi di traverso è stata l’urgenza della pandemia che ha spinto l’Ue a discutere temi scottanti abbandonando la logica dell’unanimità e aprendo alle soluzioni largamente condivise. E così, Polonia e Ungheria - i più critici del meccanismo di tutela - si sono trovate isolate di fronte alla maggioranza dei Governi e del Parlamento europeo. Con il veto minacciato sull’intero bilancio, Budapest e Varsavia hanno comunque ottenuto una verifica di legittimità sul meccanismo di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Ma, stando alla lettera dei regolamenti, la Commissione europea dovrà bloccare i fondi ai Paesi che non rispettano i parametri di legalità a partire dal 1 gennaio.

Il mese di terrore e la strage di Hanau

Oltre alla nuova minaccia pandemica, un altro pericolo per la sicurezza degli europei è riemerso nel 2020. La recrudescenza del terrorismo di matrice islamista, che ha colpito soprattutto nelle settimane da fine settembre a inizio novembre, ha messo l’Europa nuovamente con le spalle al muro di fronte, costringendola ad adottare con urgenza un nuovo piano d’azione. Il 25 settembre a Parigi due persone sono state ferite con un’arma da taglio nei pressi della vecchia sede del giornale satirico Charlie Hebdo nei giorni cui si apriva il processo ai responsabili dell’attacco del 2015. Il 4 ottobre a Dresda, in Germania, una coppia omosessuale è stata attaccata da un attentatore siriano armato di coltello e uno dei due uomini ha perso la vita per le ferite riportate. Il 16 ottobre in Francia è stato ucciso l’insegnante di storia Samuel Paty, bersagliato in precedenza da una campagna d’odio sui social per aver mostrato agli studenti le vignette satiriche sul profeta Maometto durante una lezione sulla libertà d’espressione. Solo 13 giorni dopo, a Nizza, altre tre persone sono state assassinate nella chiesa cattolica Notre-Dame da Brahim Aouissaoui, il cittadino tunisino passato a fine settembre per Lampedusa. Il 2 novembre quattro persone sono rimaste uccise in un attentato portato a termine nei pressi della sinagoga di Vienna. Al mese di terrore si aggiungono altri attacchi di diversa matrice avvenuti durante il 2020, come la strage di Hanau avvenuta il 19 febbraio, quando un’organizzazione terroristica tedesca di estrema destra uccise nove persone di diverse nazionalità. 

Nuove politiche migratorie

A fine settembre la Commissione europea ha svelato - con parecchi mesi di ritardo sulla tabella di marcia - il nuovo patto Ue sull’asilo e la migrazione. Il testo disciplina il rimpatrio delle persone che arrivano in Europa senza visto e prive dei requisiti per ottenere lo status di rifugiati. Un nuovo meccanismo di “solidarietà”, intesa come cooperazione tra Stati membri, prevede che i 27 si aiutino tra loro sostenendo i costi di rimpatrio o facendosi carico del migrante in attesa delle procedure garantite dal diritto internazionale. Bruxelles intende anche sviluppare nuovi canali di migrazione legale e controllata, ma in tanti hanno fatto notare la carenza di proposte e sforzi destinati a tale obiettivo, mentre il focus delle istituzioni Ue è decisamente orientato a frenare gli arrivi dall’Africa e dalle altre aree in difficoltà. Il testo - inizialmente accolto da un plauso generale - è poi finito sotto la lente d’ingrandimento dei Paesi mediterranei, che sembrano decisi a chiedere l’introduzione di un meccanismo di redistribuzione obbligatoria dei migranti in arrivo nell’Ue. Il piano è arrivato dopo le forti polemiche innescate dall’incendio del campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, dove migliaia di persone erano di fatto detenute in baracche o accampamenti fatiscenti e costrette a restare all’intero della struttura per le norme anti-Covid.

Il tentato omicidio di Navalny: tensioni con la Russia

L’avvelenamento del politico russo Alexei Navalny, leader del movimento d’opposizione Russia del futuro, è stata l’origine di un duro scontro tra Bruxelles e Mosca che potrebbe avere conseguenze anche sui rapporti economici tra il Vecchio Continente e la Federazione Russa. La mattina del 20 agosto l’attivista e blogger è stato ricoverato in terapia intensiva dopo un atterraggio di emergenza. Le persone più vicine a Navalny hanno subito accusato il Governo russo per quello che pareva essere fin dall’inizio tutt’altro che un malore naturale. Solo in seguito al trasferimento presso un ospedale in Germania, i medici hanno potuto constatare che Navalny è stato vittima di un avvelenamento per mezzo dell’agente nervino Novichok, in possesso delle forze militari di Mosca. “Se fossimo stati noi, sarebbe morto”, ha dichiarato con cinismo il presidente russo Vladimir Putin durante una recente conferenza stampa. L’avvelenamento di Navalny, solo l’ultimo di una serie di attacchi a danno dei leader dell’opposizione anti-Putin, ha convinto Bruxelles a dare un ulteriore giro di vite alle sanzioni già in vigore a seguito dell’invasione della Crimea e delle responsabilità russe nel conflitto ucraino. Il livello dello scontro, in particolare tra Berlino e Mosca, ha portato a rimettere in discussione anche il completamento del gasdotto Nord Stream 2, da sempre osteggiato dalla Casa Bianca.

Le elezioni fasulle in Bielorussia

Il 9 agosto le autorità della Bielorussia hanno annunciato che Alexander Lukashenko aveva vinto le elezioni presidenziali con l’80,1% dei consensi. Sull’esito che riconferma il presidente in sella dal 1994 all’ex repubblica sovietica si è subito scatenata una forte indignazione che ha dato luogo a manifestazioni spontanee per le strade della capitale Minsk, caratterizzate da duri scontri con le autorità. Le immagini della repressione ai danni della stampa e dell’opposizione bielorussa hanno convinto Bruxelles e gli Stati membri non solo a non riconoscere l’esito del voto, ma anche a imporre sanzioni dirette ai rappresentanti del regime bielorusso responsabili delle violenze sui manifestanti. Lukashenko, forte del sostegno del presidente russo Putin, non ha comunque lasciato il Governo del Paese, né ha accettato di organizzare nuove elezioni nel rispetto degli standard minimi di regolarità della consultazione. La questione bielorussa, unita al caso Navalny, non ha fatto altro che esacerbare lo scontro tra l’Ue e Mosca. 

Il Next Generation EU

Il 21 luglio 2020, dopo cinque giornate di negoziati, i leader Ue hanno dato l’ok al programma Next Generation EU. Si tratta di un piano di riforme e investimenti da finanziare con risorse che la Commissione europea chiederà direttamente ai mercati finanziari tramite l’emissione di titoli comuni. Comunque la si pensi sull’impatto economico che avranno i circa 750 miliardi di euro che verranno distribuiti tra i Paesi Ue più in difficoltà dopo la crisi del Covid-19, tanti osservatori hanno fatto notare il carattere storico dell’intervento che aprirà, di fatto, all’emissione di un debito comune per finanziare politiche incentivate da Bruxelles. Per l’Europa ‘frugale’ rappresentata da Olanda, Austria, Svezia e Danimarca si tratta di un intervento una tantum, posto in essere solo per risollevare le economie Ue dopo la crisi del Covid e per uscire dalla recessione al più presto e prepararsi ad evitare problemi futuri. Per chi sogna gli Stati Uniti d’Europa, il Next Generation EU rappresenta invece un primo esempio di politica fiscale integrata. 

Il Green Deal

Il Green Deal europeo è nato ufficialmente durante il Consiglio europeo di dicembre 2019, ma come mera dichiarazione d’intenti. Gli atti legislativi Ue che parlano apertamente della necessità di azzerare le emissioni nette di CO2 nell’Unione europea entro il 2050 sono invece stati votati e firmati negli ultimi 12 mesi. All’obiettivo della cosiddetta neutralità climatica si sono aggiunti quelli di sostenere l’economia circolare, ridurre gradualmente i sussidi alle fonti fossili e mettere un freno alla deforestazione nell’Ue per invertire la tendenza con piani di rimboschimento che vadano ad assorbire la CO2 prodotta in Europa. Agli ambiziosi piani richiesti a gran voce dai giovani del movimento Fridays for Future si sono aggiunti provvedimenti legislativi separati, ma comunque concernenti lo stato di salute del Pianeta, che hanno indignato molti ambientalisti. Uno di questi è senza dubbio la riforma della Politica agricola comune, che non ha recepito gli obiettivi di taglio delle emissioni di gas serra.

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