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Sabato, 20 Aprile 2024
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Coronavirus, ora Johnson alza la voce: “State a casa o sarà come in Italia”

Il premier britannico: “Lì un sistema sanitario superbo ma gli ospedali sono stati sopraffatti, ci sono troppi casi”. Ma non impone ancora la quarantena, chiede però uno “sforzo nazionale eroico”

Boris Johnson comincia ad essere preoccupato. Con il numero dei nuovi casi di coronavirus, e dei morti, che nel Regno Unito si avvia a diventare presto come quello dei bollettini di guerra a cui ormai siamo tristemente abituati in Italia (al momento sono 1.546 contagiati e 25 decessi), il premier ha deciso di passare dall'appello all'ordine, seppur non coercitivo. Johnson prova ancora a non imporre la quarantena dall'alto, ad affidarsi alla disciplina dei britannici, ma sente che presto potrebbe non bastare più.

Il servizio sanitario nazionale potrebbe essere “sopraffatto” come quello italiano in sole due settimane, per questo tutti devono “stare a casa”, allo scopo di “salvare letteralmente migliaia di vite”, ha detto ieri nella consueta conferenza stampa per l'aggiornamento quotidiano sull'emergenza. Il messaggio deve arrivare più forte. Anche sul podio la scritta è chiara e a caratteri cubitali: STAY HOME, PROTECT NHS, SAVE LIVES. Stai a casa, proteggi il sistema sanitario, salva vite. Per provare a far capire la gravità della situazione fa l'esempio dell'Italia, il Paese più colpito, preso alla sprovvista da un virus che ha cominciato a mietere vittime più presto, e più in fretta, che in altre parti del mondo, e che ora sta diventando un esempio da studiare, se non da seguire.

Gli italiani hanno un sistema sanitario superbo. Eppure i loro dottori e i loro infermieri sono stati completamente sopraffatti dal numero dei casi. Il bilancio delle vittime è già di migliaia di persone e sta salendo. A meno che non agiamo insieme, a meno che non facciamo uno sforzo nazionale eroico e collettivo per rallentare la diffusione, allora è fin troppo probabile che il nostro sistema sanitario sarà ugualmente sopraffatto ”.

E oggi, nel giorno della loro festa, Johnson ha chiesto di non andare a trovare le proprie mamme, per loro potrebbe essere un rischio. Il social distance tocca anche gli affetti familiari. Per questo il premier ha chiesto di accelerare l'applicazione di questa pratica, di stare almeno a due metri di distanza dagli altri per strada.

Le strade del centro sono già quasi completamente deserte. Il London Bridge sembra sempre più quello della scena iniziale di “28 giorni dopo” di Danny Boyle, quando il protagonista Jim si risveglia dal coma in ospedale e trova la capitale britannica deserta. Ma nei quartieri periferici la gente continua ad affollare le strade e i parchi. Si vedono molte più mascherine ma in strada ci sono ancora troppe persone, mentre nei supermercati c'è sempre meno roba. Gli scaffali vengono saccheggiati ormai quotidianamente da una popolazione che si prepara al peggio.

Negli ospedali intanto fervono i preparativi per il picco: reparti riconvertiti, ospedali da campo, patti con il servizio sanitario privato e pensionati richiamati in servizio. Ma anche qui, come in Italia, i medici cominciano a denunciare la mancanza di Dpi, i dispositivi di protezione individuale, mascherine e guanti in primis. E siamo appena all'inizio della crisi.

Ma il Paese sembra voler fare la sua parte. Il segretario di Stato alla Salute, Matt Hancock, ha annunciato che a seguito della chiamata alle armi dei pensionati (ovviamente quelli recenti, non certo i 70enni e più che sono categorie a rischio), ben 4mila infermieri e 500 medici si sarebbero detti disposti a tornare momentaneamente al servizio sanitario nazionale nelle prime 48 ore. Alcuni di loro potrebbero dover solamente rispondere all'111, il numero di emergenza, e fare diagnosi telefoniche, la prima scrematura dei casi insomma. Ma così liberano energie necessarie negli ospedali, dove cominciano ad arrivare i primi allarmi e la paura del sovraffollamento.

Anche tra i cittadini si moltiplicano le iniziative di solidarietà. Nelle cassette della posta arrivano volantini con i contatti di volontari disposti a portare la spesa, ed eventualmente medicine, ad anziani e malati in quarantena. Ma tutto questo potrebbe non bastare, l'impressione è che le maniere forti potrebbero presto essere necessarie, soprattutto a Londra, la capitale di oltre 10 milioni di abitanti, che sarà l'epicentro dell'epidemia, il focolaio più forte. La Wuhan britannica.

“Il mio messaggio è semplice: la vita è cambiata, dobbiamo fare le cose in modo diverso per un po' di tempo. L'interazione sociale porta alla diffusione della malattia, porta alla morte delle persone. Non dovete uscire di casa a meno che non sia veramente necessario”, ha detto il sindaco Sadiq Khan, laburista. Insieme ai conservatori il partito guidato ancora, ma momentaneamente, da Jeremy Corbyn, sta ha affrontato la situazione fin dall'inizio con un grande spirito di unità nazionale. Zero polemiche, solo critiche, ma composte, quando ritenuto necessario. Ed è proprio Khan a fare la voce dura, ma non con il governo (che non farebbe abbastanza secondo tanti), ma con i suoi concittadini. “È davvero importante che la polizia si concentri sulle priorità che ha, tra cui contrastare i crimini violenti e altre questioni, ma chiaramente, se le persone continueranno ad agire in un modo che porta alla diffusione di questa malattia, allora dovranno essere prese in considerazione altre misure”. L'avvertimento è chiaro.

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