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Giovedì, 25 Aprile 2024
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BoJo promette 10 milioni di test a settimana. Ma l'Europa fa i conti con la carenza di test

Il governo di Londra ha messo in piedi un piano per testare in una settimana l'intera popolazione del Paese. Ma ci sono ancora molti dubbi sulla sua reale fattibilità e sui tempi per attuarlo

Si chiama "Operazione Moonshot" e per Boris Johnson è "la nostra unica speranza per evitare un secondo lockdown nazionale prima di un vaccino". L'ultima scommessa del premier britannico, che ama puntare in alto (spesso più in alto di quanto possa poi realmente portare a termine, anche per ragioni di propaganda), è quella di sviluppare talmente tanto la capacità di fare test per il corovonavirus da poterne fare 10 milioni al giorno, il che significherebbe in pratica testare in una settimana l'intera popolazione britannica.

Un piano che non sarebbe certo indolore per le casse dello Stato, arrivando a costare secondo alcune previsioni anche 100 miliardi l'anno, quasi quanto l'intero budget annuale dell'Nhs, il servizio sanitario nazionale. Una cifra negata dal governo e che, secondo il Financial Times, potrebbe essere anche di “soli” 20 miliardi l'anno. A parte lo sforzo finanziario però il progetto, se veramente attuato, permetterebbe al Paese di tornare a vivere una vita normale anche prima della scoperta di un vaccino o di un medicinale veramente efficace contro il Covid-19.

Al momento il Regno Unito ha una capacità di 320mila test al giorno che Johnson ha promesso di portare a 500mila al giorno entro la fine di ottobre prima di raggiungere l'obiettivo di 10 milioni di test veloci da raggiungere al massimo entro l'inizio del prossimo anno. Ma il programma di Test and Trace ha mostrato molte falle e non procede sempre in modo spedito. Alcuni cittadini, soprattutto quelli che vivino in città lontane dalle metropoli come Londra, o Manchester, sono a volte costretti a fare decine di miglia per arrivare a un centro che fa tamponi.

Il piano si basa su nuovi test della saliva, che sono in via di sviluppo, e che dovrebbero dare risultati in 20 minuti e al massimo 60 minuti. Una volta fatti, e in caso di risultato negativo, assicurerebbero ai cittadini una sorta di "passaporti di immunità" con cui potrebbero andare al lavoro ma anche al cinema, allo stadio, al pub, senza dover osservare misure di distanziamento sociale. Secondo il piano, i cui documenti sono trapelati e pubblicati dal British Medical Journal, il governo si avvarrebbe del contributo delle aziende farmaceutiche GSK e AstraZeneca e degli outsourcer Serco e G4S.

Se portato a termine sarebbe un fatto davvero rivoluzionario, soprattutto visto che in Europa si fa sempre più difficoltà ad avere un regime di test all'altezza della situazione. Al momento il Regno Unito è già il Paese che, dopo soltanto i piccoli Stati della Danimarca e di Malta, fa più test rispetto alla popolazione. Secondo il sito Our World in Data, progetto portato avanti dall'Università di Oxford e dal Global Change Data Lab, Londra fa 2,53 test ogni mille abitanti. Più del doppio dell'Italia che si ferma a uno, ma anche più della Germania che si ferma a 1,79, della Francia (1,98) e della Spagna (1,78).

Ma tra il dire e il fare, come sempre, c'è di mezzo il mare. A esprimere perplessità sul piano, o almeno sulla sua fattibilità a breve termine, è stato lo stesso responsabile del governo per la risposta alla pandemia, il chief scientific adviser, Sir Patrick Vallance, che ha avvertito che questi test veloci non sono ancora disponibili e la loro efficacia non è ancora stata accertata, quindi "sarebbe completamente sbagliato presumere che si tratti di una svolta che può sicuramente accadere".

Se i test infatti non hanno una percentuale di precisione adeguata potrebbero dare risultati sbagliati e creare solo caos. Si potrebbe consentire a chi è positivo ma riceve risultato negativo di andare in giro liberamente, sentendosi sicuro di non contagiare nessuno, o si potrebbe costringere chi risulta positivo ma è invece negativo a sottoporsi a test più approfonditi e a un isolamento che sarebbe inutile per lui e per l'azienda per cui lavora.

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