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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Bilancio Ue, è scontro tra ‘frugali’ e ‘ambiziosi’

La resa dei conti tra due visioni diverse della politica economica europea comincia oggi a Bruxelles con il summit dei leader. Da una parte chi vuole spendere di più per rafforzare l’Unione, dall’altra chi non intende pagare per gli obiettivi (e i problemi) altrui. L'Italia è nel mezzo

“Senza un accordo” sul nuovo Quadro finanziario pluriennale (Qfp) è a rischio la programmazione economica per il 2021 e potrebbero esserci problemi anche per il 2022”. L’avvertimento è arrivato ieri pomeriggio dalle istituzioni Ue, che hanno fretta di chiudere le discussioni sul bilancio che darà vita alle politiche europee dei prossimi sette anni. Ma i chiamati in causa, almeno per il momento, sembrano poco inclini ad accettare la proposta di compromesso avanzata dal presidente del Consiglio europeo, l’ex premier belga Charles Michel. Quest’ultimo, tenendo conto dei veti incrociati, non ha quindi esitato a informare le delegazioni degli Stati membri che il summit tra leader Ue previsto per oggi potrebbe andare avanti ad oltranza - secondo il ‘metodo belga’ di condurre i negoziati - fino a quando non si troverà un accordo che veda convergere i cinque Governi ‘frugali’ (Austria, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia) e il fronte degli ‘ambiziosi’

La guerra delle percentuali

Tra i nodi da sciogliere c’è il ‘no’ annunciato del Parlamento europeo, istituzione di riferimento degli ‘ambiziosi’. L’Eurocamera ha infatti fissato un contributo degli Stati membri pari all’1,3% del reddito nazionale lordo nella sua proposta votata nel 2018. La Commissione prima - con una proposta dell’1,1% - e il Consiglio poi - 1,07% - hanno rivisto fortemente al ribasso le ambizioni degli europarlamentari, che però insistono nel chiedere maggiori sforzi - e quindi più finanziamenti - in materia di Green deal (il piano di abbattimento delle emissioni di CO2) e digitalizzazione. Una posizione ribadita ieri dal presidente dell'Eurocamera, David Sassoli.

Brexit e tasse Ue

Fonti Ue fanno però notare che con la Brexit “ci sarà un gap compreso tra i 60 e i 70 miliardi di euro” nel bilancio europeo. Un buco solo parzialmente compensato con le risorse proprie aggiuntive dell’Ue, ovvero con delle tasse il cui gettito va direttamente a Bruxelles senza passare per le capitali. Nella proposta di Michel vengono aggiunte risorse ‘fresche’ grazie a una tassa sulla plastica non riciclata e all’applicazione più estesa dell’Ets (Emissions trading system) sulle emissioni carboniche. Ma per introdurre tali risorse nel bilancio Ue sarà necessario l’ok unanime dei Paesi membri, mentre scontato pare il benestare del Parlamento Ue, favorevole da tempo all’introduzione di ulteriori strumenti di auto-finanziamento del Qfp, quali la plastic tax, la carbon tax e la web tax.

I Paesi 'frugali'

Altro tema di tensione tra istituzioni e Stati Ue è quello dei rebate, cioè del meccanismo finanziario introdotto negli anni ‘80 – su richiesta del Regno Unito –  e che consente un rimborso sulla partecipazione al bilancio degli Stati contributori netti che ricevono meno fondi europei. Su tale meccanismo pende infatti una richiesta di cancellazione totale da parte della Commissione europea e di eliminazione progressiva nella proposta di Michel. L’ex premier belga avrebbe attenuato il superamento del meccanismo per ricevere il supporto determinante di cinque Governi, ribattezzati come Paesi ‘frugali’: Austria, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia.

Contro il rebate

A loro si contrappongono una ventina di Paesi Ue - tra i quali c’è anche l’Italia - che chiedono l’archiviazione del meccanismo, considerato da loro come un arnese antieuropeo ideato dagli inglesi. “È un problema politico”, commenta un alto funzionario Ue. “Alcuni Paesi non vogliono subire forti incrementi di contribuzione”, precisa la fonte, che poi conferma un negoziato separato in corso coi cinque Stati membri coinvolti. 

La posizione dell'Italia

Il Belpaese, nel complicato scacchiere di negoziati, si è arruolato tra le fila degli ‘ambiziosi’. Ciononostante, l’Italia è un contributore netto dell’Europa, alla quale versa più soldi di quelli che riceve sotto forma di finanziamenti. Nella partita negoziale che inizia oggi a Bruxelles è quindi lecito aspettarsi che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, tenga una linea ambiziosa, ma non troppo. Per evitare che l’Italia, alla quale spetta la maglia nera Ue per crescita economica, veda aumentare quello squilibrio tra contributi all’Europa ed entrate sotto forma di finanziamenti, che rischiano di mettere ancora più benzina nel serbatoi dei partiti euroscettici e anti-Ue. 

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