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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'emergenza dimenticata / Siria

Il dramma dei bambini europei abbandonati nei campi dell'Isis in Siria

Sono figli di genitori che si sono uniti o hanno cercato di vivere nel califfato. I governi Ue sono riluttanti a rimpatriarli per ragioni di sicurezza nazionale. Ma gli esperti avvertono sui rischi di radicalizzazione

L'Isis è formalmente stato spazzato via dalla Siria nel 2019. Ma ancora oggi, decine di migliaia di donne e bambini europei sono bloccati negli ex campi jihadisti del nord-est del Paese, a volte gestiti ancora da frange di jihadisti. Nonostante gli incessanti appelli delle Nazioni unite, delle ong, dell'antiterrorismo e degli esperti di sicurezza, che avvertono che lasciare queste persone in quei campi rappresenti un grave rischio di radicalizzazione, anche per la sicurezza dei loro Stati di provenienza, numerosi governi dell'Ue e in genere dell'Occidente ancora esitano a mettere in opera le misure necessarie per riportare in patria i loro cittadini.

La fuga dall'Europa al califfato

Nell'ultimo decennio, migliaia di europei si sono recati in Siria per diventare combattenti del gruppo dello Stato Islamico, spesso portando con sé mogli e figli per vivere nel "califfato" istituito nei territori conquistati in Iraq e Siria. Da quando il "governo" guidato dall'Isis è caduto nel 2019, il ritorno dei familiari dei combattenti catturati o uccisi è diventata una questione spinosa per i Paesi europei.

Mentre Francia e Spagna hanno intensificato gli sforzi per rimpatriare le migliaia di donne e bambini sospettate di essere associate allo Stato Islamico o di essere loro familiari, negli altri Paesi, molti governi sono riluttanti a riprenderli a causa di problemi di sicurezza nazionale o per paura di ripercussioni sull'opinione pubblica. La lentezza del processo sta esponendo questi gruppi vulnerabili al rischio di essere radicalizzati, abusati e sottoposti a lavori forzati e matrimoni.

L'appello dell'Onu

Secondo l'Agenzia per i diritti umani dell'Onu, "il ritorno e il rimpatrio urgente dei combattenti stranieri e delle loro famiglie dalle zone di conflitto è l'unica risposta conforme al diritto internazionale alla sempre più complessa e precaria situazione dei diritti umani, umanitaria e di sicurezza che devono affrontare quelle donne, uomini e bambini che sono detenuti in condizioni disumane in campi sovraffollati, prigioni o altrove nel nord della Repubblica araba siriana (il nome ufficiale della Siria, ndr) e in Iraq".

Non esiste una politica uniforme in Europa per il rimpatrio e ogni Paese ha un proprio approccio. In Francia, ricorda Euractiv, che dopo pressioni internazionali ha ripreso 47 donne e bambini a gennaio, le madri vengono immediatamente mandate in prigione. In Belgio, invece, vengono poste sotto processo, ma non incarcerate. La Svezia conduce un'indagine approfondita per valutare i rischi per la sicurezza nazionale.

L'opinione pubblica di alcuni Paesi come Francia, Albania e Germania è favorevole al rimpatrio e le associazioni di familiari e la società civile hanno sollecitato i governi ad accelerare il processo. Le condizioni nei campi sono pessime, con temperature estreme, accesso limitato all'acqua e malattie. Una situazione che li sta privando dei loro diritti fondamentali, tra cui il diritto alla nazionalità, alla salute, all'istruzione, all'unità familiare e alla libertà.

I 23mila bambini dimenticati

Secondo i dati riportati da Human rights watch, 42mila persone provenienti da 60 Paesi sono attualmente detenute nel nord-est della Siria. La maggior parte sono bambini. Alcuni sono stati portati nel Paese dai genitori che si sono uniti o hanno cercato di vivere nel califfato, mentre altri sono nati in aree controllate dai terroristi o in campi di detenzione per famiglie con presunti legami con il gruppo.

Quasi l'80 per cento ha meno di 12 anni ed è troppo giovane per essere stato coinvolto nelle attività dell'Isis. Tuttavia, Questi individui sono detenuti da quasi cinque anni, alcuni anche da più tempo, lasciando i bambini intrappolati in uno stato di incertezza. Sono detenuti in condizioni disumane e sono sempre più a rischio di violenza o reclutamento da parte del gruppo terroristico.

Le ricerche di Human rights watch hanno rilevato che i bambini rimpatriati si stanno reintegrando con successo. Tuttavia, a parte l'Iraq, che ha rimpatriato quasi 2.850 bambini, solo circa 1.600 bambini sono stati accettati dagli altri 35 governi, lasciandone altri 23mila nel nord-est della Siria. Il Canada ha riportato in patria solo quattro bambini e ha accettato di riportarne altri 13 nel gennaio 2023, mentre almeno altri 30 sono ancora detenuti.

La situazione nei campi jihadisti siriani è disastrosa. Le associazioni di difesa dei diritti umani chiedono una maggiore azione da parte dei Paesi d'origine e processi di rimpatrio più rapidi per evitare che donne e bambini siano soggetti a violenze, abusi e radicalizzazione. Il Parlamento europeo ha preso posizione a favore del rimpatrio dei bambini e l'opinione pubblica è favorevole al rimpatrio, ma è indispensabile che i governi agiscano rapidamente per riportare in sicurezza i propri cittadini.

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