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Venerdì, 19 Aprile 2024
Le conseguenze del conflitto / Croazia

Nei Balcani si muore ancora a causa delle mine antiuomo

Le guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia continuano a mietere vittime nella regione, dove le operazioni di sminamento non sono mai state portate del tutto a termine

Sono passati oltre 30 anni dallo scoppio delle guerre che hanno portato alla dissoluzione dell'ex Jugoslavia, eppure nei Balcani si muore ancora a causa delle mine anti uomo. Le operazioni di sminamento non sono state portate a termine del tutto, per colpa dei ritardi della politica e anche per mancanza di fondi, e così ci sono centinaia di chilometri quadrati di foreste e campo su cui è pericolosissimo addentrarsi, e dove si rischia di saltare in aria su uno dei tanti ordigni inesplosi. Queste aree, segnalate da cartelli che avvertono del pericolo, sono molto diffuse.

Come racconta BarBalcani, newsletter specializzata nella storia e nell'attualità della regione, fatta eccezione per la Slovenia, unico Paese balcanico mai minato, solo Macedonia del Nord e Albania hanno portato a compimento le operazioni di sminamento, rispettivamente nel 2006 e nel 2009. In Montenegro il problema è presente ma minore, visto che non si registra la presenza di mine anti-uomo, ma solo di alcune limitate aree con mine navali e 1,72 chilometri quadrati infestati da resti di bombe a grappolo. Negli altri ex Stati della Federazione comunista invece la questione diventa più grave. In Serbia la superficie interessata da ordigni mortali è di 3,24 chilometri quadrati mentre nel piccolo Kosovo, ci sono 1,35 chilometri quadrati a rischio mine e ben 14,34 coperti da resti di bombe a grappolo.

La situazione peggiore si trova in Croazia e Bosnia, dove la guerra è durata più a lungo e gli eserciti non hanno risparmiato tattiche di combattimento sporche, che finivano e finiscono tuttora per colpire e danneggiare i civili. E così ancora oggi la Bosnia ed Erzegovina è minata su un’area di quasi mille chilometri quadrati e si stima che ci siano almeno 120 mila mine nelle aree rurali che rappresentano una minaccia per circa 540 mila cittadini. Quasi un bosniaco su cinque può rischiare la vita ogni giorno. In Croazia sono invece quasi 280 i chilometri quadrati di territorio interessati dal problema. Proprio in questa nazione è avvenuta l'ultima tragedia lo scorso 14 gennaio quando nell’entroterra della Dalmazia un cacciatore di 67 anni è morto dopo aver calpestato una mina antiuomo piazzata ai tempi della Repubblica Serba di Krajina. Nel marzo dello scorso anno un migrante è rimasto invece ucciso nelle foreste dei laghi di Plitvice, vicino al confine con la Bosnia ed Erzegovina.

Sono solo le ultime vittime di una striscia che dura dal 1991, anno in cui è scoppiata la guerra tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia in disintegrazione. Se si considerano i numeri del dopoguerra le vittime e i feriti sono stati migliaia. Dal 1995 in Bosnia e in Croazia (anno della fine delle rispettive guerre) e dal 1999 in Kosovo, Serbia e Montenegro più di 6.240 persone, tra feriti e morti, sono rimaste vittime di mine e resti di bombe a grappolo, spiega ancora BarBalcani. Secondo i dati di Landmine & Cluster Munition Monitor, solo in Bosnia fino al 2020 si sono contate 1.766 vittime e in Croazia 1.434. In 21 anni in Serbia 1.360, quasi mille in Albania (che nonostante non fosse Paese jugoslavo né belligerante fu interessato dal fenomeno e toccato comunque dal conflitto), 590 in Kosovo e 18 in Montenegro.

L'Unione europea sta finanziando parte delle operazioni di sminamento in Croazia, unico paese interessato dal fenomeno che è membro del blocco, e che prevede di coprire al 60% con fondi da Bruxelles le operazioni di messa in sicurezza dei terreni a rischio che costeranno 1,2 miliardi di euro entro il 2026.

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