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Venerdì, 19 Aprile 2024
Rigore a casa loro / Tunisia

L'austerity per fermare i migranti: il "piano" di Meloni che la Tunisia rifiuta

La premier chiede a Tunisi di accettare il prestito del Fmi per far fronte alla crisi economica e bloccare i flussi verso l'Italia. Ma in cambio dei soldi, il Paese africano dovrebbe attuare riforme lacrime e sangue

Chissà cosa sarebbe successo se nel pieno della crisi energetica, con le bollette schizzate alle stelle, l'Europa avesse imposto all'Italia di eliminare tutti gli aiuti alle famiglie sulle bollette in cambio dei finanziamenti del Pnrr. Chissà cosa avrebbe detto l'attuale premier Giorgia Meloni, che in vista dei negoziati con Bruxelles sulla riforma del Patto di stabilità ha tuonato: "Il tempo dell'austerità è finito". Immaginare uno scenario del genere serve per capire meglio quanto sta succedendo in Tunisia: il Paese nordafricano è nel pieno di una crisi economica e politica che preoccupa l'Occidente, e da mesi sta negoziando un prestito con il Fondo monetario internazionale (Fmi). Il nostro governo, così come quello degli Stati Uniti, sta spingendo Tunisi ad accettare il prestito, in modo da stabilizzare la situazione ed evitare, come ha spiegato la stessa Meloni alla Camera, "un flusso" di migranti "che nessuno potrebbe governare". Peccato che, in cambio dei soldi, il Fmi chieda alla Tunisia un piano di riforme lacrime e sangue, che prevede, tra le altre cose, l'eliminazione dei sussidi statati sulla benzina e sui beni alimentare di base.

Lacrime e sangue

Far accettare un piano del genere alla popolazione, con un'inflazione galoppante e oltre 4 milioni di poveri, non è certo facile. Lo Stato ha un deficit di bilancio abissale, e questo sta comportando l'impossibilità di importare quantità sufficienti di beni di prima necessità. Quando questi prodotti sono disponibili, i loro prezzi diventano però insostenibili non solo per i più vulnerabili, ma anche per la classe media tunisina. È un cane che si morde la coda: le casse pubbliche sono vuote e questo ha l'effetto di rendere ancora più alto il costo della vita. Il prestito del Fmi potrebbe rimpinguare le casse, ma toglierebbe i sussidi su cui una fetta sempre più larga della popolazione sta facendo affidamento per arrivare a fine mese. 

Il presidente della Tunisia Kais Saied

Il Fondo monetario internazionale non chiede solo lo stop ai sostegni pubblici per carburanti e generi alimentari, ma anche di ridurre il personale dell'amministrazione pubblica, con tagli che potrebbero colpire sanità e istruzione. Il Fmi vuole anche che Tunisi metta mano alla sua galassia di società pubbliche, anch'esse gravate da deficit di bilancio dettati da un eccesso di forza lavoro. Per esempio, la compagnia di bandiera aerea Tunisair potrebbe dover licenziare circa mille dipendenti in seguito al patto con il Fmi. Mentre altre aziende di Stato potrebbero essere privatizzate. Il tutto in cambio di un prestito di 1,9 miliardi di dollari che, secondo alcuni analisti, potrebbe essere insufficiente a stabilizzare la situazione.

Azzerare il debito

Non è un caso se in un panorama politico fortemente polarizzato, il presidente in carica Kais Saied e l'opposizione, a partire dal potente sindacato Ugtt, siano d'accordo su un punto: il no al piano di riforme del Fmi. "La soluzione non è sottomettersi ai diktat, che sono una nuova forma di colonialismo - ha detto di recente Saied - Se i Paesi stranieri vogliono aiutare la Tunisia, dovrebbero restituire i nostri soldi saccheggiati e far cadere i debiti accumulati". La questione del debito pubblico chiama in causa soprattutto l'Europa: la Francia è il Paese straniero che detiene la più ampia fetta di debito tunisino. Al terzo posto c'è la Germania, al quinto l'Italia. Senza considerare le quote detenute direttamente dall'Ue e dalla Banca europea degli investimenti. 

Eppure, la parola "debito pubblico" non è citata neppure una volta nella recente risoluzione approvata dal Parlamento europeo, in cui si sottolineano invece (e con solide motivazioni) la svolta autoritaria di Saied e la stretta sui diritti nel Paese, e in cui si chiede all'Ue di bloccare alcuni programmi di sostegno rivolti a Tunisi. La questione del debito pubblico non sembra rientrare neanche nelle discussioni in corso a Bruxelles, dove i leader dell'Unione stanno affrontando proprio in queste ore il dossier tunisino. Semmai, i Paesi più interessati alla situazione nel Paese nordafricano sembrano convergere sulla necessità che "si sblocchi la linea di credito del Fondo monetario internazionale alla Tunisia, che è in una situazione finanziaria molto complessa. Se non si interviene noi rischiamo di avere un flusso (di migranti, ndr) che nessuno potrebbe governare", ha detto la premier Meloni. 

Il tappo tunisino

La leader italiana sta spingendo per una missione congiunta con la Commissione europea in Tunisia, alla quale dovrebbero partecipare, secondo quanto riferito da Bruxelles, il ministro Matteo Piantedosi e il suo omologo francese Gerald Darmanin. "Dobbiamo lavorare con i Paesi d'origine per fermare le partenze" di migranti, ha evidenziato la commissaria Ue agli Interni, Ylva Johansson. A dirla tutta, la Tunisia è stata in questi anni molto diligente nell'atttuare gli accordi con l'Ue e l'Italia (ricompensati a suon di decine di milioni di euro) per fermare le partenze via mare dei suoi cittadini e dei migranti subsahariani che arrivano nel Paese: nel 2019, per esempio, poco meno di 2700 migranti provenienti dalla Tunisia erano sbarcati in Italia. Niente a che vedere con quanto successo l'anno scorso, con oltre 18mila arrivi. 

Il "tappo tunisino" è saltato, complice la grave crisi economica e sociale, ma non del tutto: i flussi verso l'Italia sono passati dalla Libia, dove gli scafisti hanno le mani più libere. In Tunisia, invece, la lotta ai signori dei barconi sembra continuare a funzionare: secondo i dati del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, nel 2022 la guardia costiera alle dipendenze di Tunisi ha intercettato e bloccato oltre 38mila migranti. Anche con metodi violenti: sempre secondo il Forum, molti interventi della guardia costiera hanno portato a tragedie in mare, con barconi affondati e centinaia di vittime. Ora, questo zelante contrasto agli scafisti potrebbe venire meno. Facendo aumentare ancora di più i flussi. Ecco perché Meloni è preoccupata. E vuole aiutare Tunisi a tenere alto il muro anti-migranti. Anche se "aiutarli a casa loro" vorrebbe dire portare l'austerity. 

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