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Venerdì, 8 Dicembre 2023
Il dibattito

"Atlete trans come quelle dopate", per la nuotatrice olimpica lo stop "è buon senso"

Sharron Davies nel 1980 perse la medaglia d'oro arrivando dietro una un'atleta della Germania dell'Est, e ora si batte contro i transgender negli sport femminili: "Un'ingiustizia per le donne"

Sono passati 42 anni, ma l'ingiustizia di quello che è accaduto alle Olimpiadi di Mosca nel 1980 brucia ancora per Sharron Davies. La nuotatrice britannica arrivò seconda ai 400 misti, vincendo la medaglia d'argento, battuta dalla tedesca della Germania dell'Est, Petra Schneider. Quest'ultima però, molti anni dopo, ammise che, come tante altre atlete del suo Paese, aveva assunto sostanze dopanti che le avevano permesso di raggiungere quel risultato, così come la vittoria dei mondiali due anni dopo e il record mondiale che rimase imbattuto per 15 anni.

Quello stesso senso di ingiustizia l'atleta, ora 62enne, lo trova nelle competizioni sportive in cui una donna si deve confrontare con un'atleta trans, che a suo avviso ha un vantaggio fisico che rende la competizione falsata, proprio come accadde negli anni Ottanta con le atlete della Germania dell'Est. "A quei tempi c'è stata un'intera generazione di ragazze che hanno perso le loro medaglie, i loro trofei, i loro premi, le loro possibilità di carriera perché il Comitato olimpico internazionale non ha fatto nulla", ha detto al Times, sostenendo che il regime sportivo tedesco di allora è l'equivalente di "far passare le ragazze attraverso la pubertà maschile", e che “le donne si devono unire e devono combattere insieme, chiedendo uno sport più giusto”.

Per questo ha salutato con favore il fatto che la Federazione internazionale di nuoto (la Fina), l'organo di governo mondiale dello sport, abbia approvato una politica (con una maggioranza del 71%) che vieta a chiunque abbia vissuto la pubertà maschile, o che non abbia compiuto la transizione sessuale prima dei 12 anni, dalle competizioni femminili d'élite. Anzi, vuole che questo divieto venga esteso a tutti gli sport. Per Davies si tratta semplicemente di “buon senso”, e significa, ha scritto in un intervento sul Daily Mail, “che le nuotatrici nate di sesso femminile che dedicano la loro infanzia e giovinezza a raggiungere il livello più alto di questo sport non dovranno più essere battute, prima ancora di aver iniziato la loro carriera, non da ci ha maggiore talento o ha fatto un miglior allenamento, ma dalla biologia”. Perché questo è “quello che succede se le atlete sono costrette a competere contro delle altre atlete nate maschi che hanno attraversato la pubertà maschile”, un qualcosa di “discriminatorio e pericoloso”, visto che “le donne saranno battute da maschi biologici che sono più forti e più veloci”.

La questione nel nuoto è stato portato all'attenzione di tutto il mondo quando, all'inizio di quest'anno, Lia Thomas, una nuotatrice americana transgender, è stata fotografata accanto a nuotatrici che aveva battuto in una gara, due delle quali avevano vinto medaglie olimpiche. La differenza di forza nei loro corpi era di una evidenza lampante. “Il grande pubblico ha immediatamente riconosciuto l'assurdità del fatto che una persona che si era classificato 554esima nel Paese quando gareggiava da uomo ha battuto due donne con medaglie olimpiche”, ha sottolineato Davies.

Per l'ex atleta britannica questa battaglia contro i trans nello sport femminile non ha nulla a che vedere con i diritti civili o il diritto di ognuno di essere quello che sente di essere o che vuole essere. "Ho totale empatia con chiunque abbia disforia di genere e lo sport deve essere inclusivo, ma l'equità deve venire prima dell'inclusione, quindi dobbiamo trovare modi migliori per essere inclusivi piuttosto che buttare lo sport femminile sotto un treno".

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