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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'appello / Regno Unito

"Contro mio marito Assange un processo politico, l'Europa potrebbe salvargli la vita"

Intervista alla compagna dell'attivista che si trova in prigione nel Regno Unito in attesa di una estradizione negli Usa dove rischia 175 anni di carcere per aver pubblicato informazioni su crimini di guerra compiuti in Iraq e Afghanistan. Il M5S lo ha candidato al Premio Sakharov

È venuta al Parlamento europeo per sostenere la candidatura di suo marito al Premio Sakharov. Stella Morris, la moglie di Julian Assange e madre dei loro due figli, spera che se gli fosse assegnato il riconoscimento per la libertà di pensiero dell'Aula di Strasburgo, questo riuscirebbe a “salvargli la vita” e fermare quello che lei definisce chiaramente un “processo politico” che lo porta a rischiare fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti. I due si sono sposati a marzo nel Regno Unito, nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, dove Assange è rinchiuso dal 2019.

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“Questa candidatura è il riconoscimento del lavoro di Julian, che si è battuto per tutta la sua vita a favore della libertà espressione e per assicurare che questa fosse una realtà e che le violazioni dei diritti umani potessero essere rese pubbliche in modo da poter chiedere ai governi di renderne conto davanti alla giustizia”, sostiene. Ma il fatto che sia in prigione “è invece un messaggio chiaro, che ci dice che i governi possono commettere crimini con impunità ed essere imprigionati anche in Occidente, che la lotta per i diritti umani non ha più valore e che anzi chi porta avanti questa lotta può essere punito”.

L'eurodeputata Sabrina Pignedoli e il Movimento 5 Stelle sono riusciti a presentare ufficialmente la candidatura nella prima fase della selezione per il Premio Sakharov, ma è difficile che Assange riesca ad arrivare anche solo alle fasi finali in cui verranno selezionati tre dei candidati presentati dai diversi gruppi, tra cui sarà poi scelto il vincitore. “La vittoria di questo premio sicuramente cambierebbe le cose”, sostiene Morris, “perché questo è un caso politico, lui è un prigioniero politico, perseguitato per aver reo pubblici i crimini di un governo veramente potente, e questo riconoscimento potrebbe salvare la sua vita”.

Assange, attivista e fondatore del sito Wikileaks, si trova in una prigione nel Regno Unito dal 2019, nonostante nel Paese non sia accusato di alcun crimine, ed è in custodia in attesa dell'estradizione verso gli Usa, dove potrebbe trovarsi ad affrontare fino a 18 capi d'imputazione tra cui quello di spionaggio per aver pubblicato illegalmente informazioni segrete relative alle guerre in Afghanistan e Iraq, che denunciavano uccisioni di civili. L'estradizione è stata concessa dal governo, ma è in corso un causa di appello contro la decisione.

“Ma la battaglia legale è quasi irrilevante. È un caso politico, se ci fosse stato un giusto processo ora non sarebbe in prigione. Il processo in sé è la punizione, non ha accuse nel Regno Unito e rischia 175 anni negli Usa, è assolutamente oltraggioso. Lui resiste ma ha le mani legate, è in una delle prigioni più dure della Gran Bretagna, in condizioni difficili. Lo stesso trattato all'interno che regola le estradizioni tra le due nazioni è stato negoziato dopo l'11 settembre, e concede poche salvaguardie, non richiede neanche prove di 'prima facie', ci sono solo pochi argomenti a cui appigliarsi e sono tutti procedurali, non vanno al cuore della persecuzione contro di lui”.

Per Morris la guerra in Ucraina sarebbe uno degli esempi dell'importanza del lavoro di giornalisti e attivisti come Assange. “Julian è forse uno dei maggiori attivisti per la pace. Se è perseguitato negli Stati Uniti è proprio perché ha reso pubblici i crimini compiuto dal loro governo, ha mostrato le prove di 1.500 uccisioni di civili in Iraq, ha mostrato il vero volto di quella guerra. Con la guerra in Ucraina siamo tutti consapevoli della nebbia che avvolge i conflitti, e dell'importanza di scoprire la verità sui crimini contro la popolazione civile, sulla possibilità di pubblicare informazioni del genere senza paura di ripercussioni. Invece la persecuzione di Julian significa che se i giornalisti vogliono pubblicare prove di crimini di guerra, se lo fanno contro un'entità potente, possono andare in galera per questo”.

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