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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Allattamento "al petto" e parto cesareo dei papà trans: le linee guida che fanno discutere

Un documento dei medici britannici mira a fare chiarezza su come vanno trattati i genitori transgender. Ma la comunità scientifica è divisa sul linguaggio neutro che negherebbe la biologia di base

Anche i transgender hanno diritto all’assistenza sanitaria prima, durante e dopo il parto. Questo è il ragionamento di base che ha spinto l’ordine britannico del Royal College of Obstetricians and Gynecologists a mettere assieme una serie di linee guida che verranno diramate ai reparti di ostetricia e ginecologia del Servizio sanitario nazionale del Regno Unito, l'Nhs. Il documento, anticipato dai principali giornali inglesi, chiede ai medici di offrire "sostegno per l'allattamento al petto" (e non al seno) ai padri trans e di assumere un atteggiamento più inclusivo per soddisfare le esigenze delle persone che “non si conformano a una dicotomia binaria uomo/donna”.

Nel documento - riporta il Times - si afferma inoltre che le donne trans dovrebbero essere ricoverate in reparti femminili, nonostante il tema sia controverso dal momento che alcuni pazienti si autoidentificano come donne pur conservando organi sessuali maschili. Nel capitolo dedicato al parto degli uomini trans (cioè uomini nati biologicamente come donne) si ricorda che “mentre alcuni preferiscono fortemente un parto vaginale come esperienza emotivamente significativa, altri desiderano la disconnessione con il processo ed esprimono una preferenza per il parto cesareo”. Tutte preferenze da tenere in considerazione.

Dopo il parto, il Royal College esorta il personale medico a chiedere agli uomini se vogliono "allattare al petto" il loro bambino. In questo caso anche la terminologia deve essere cambiata a loro avviso e non si deve più usare la parola breastfeeding, allattamento al seno, ma la più neutra chestfeeding, allattamento al petto. “Per gli uomini trans che scelgono di allattare al petto, offrite supporto per l'allattamento al petto allo stesso modo delle donne cis”, ovvero alle donne cisgender, la cui identità di genere corrisponde al loro sesso, si legge nel documento.

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La notizia sul documento è arrivata nel bel mezzo di un ampio dibattito sul cosiddetto "desexing" del linguaggio medico, ovvero all’utilizzo di una terminologia per andare incontro alle persone trans. I contrari a questa novità affermano che il linguaggio medico "desexing" nega la biologia di base e rischia di ‘disumanizzare’ ed emarginare le donne. Il dibattito sulla questione ha già creato polemiche sul Servizio sanitario britannico che mesi fa era finito nella bufera per aver rimosso la parola “donne” dalle pagine web sui tumori ovarici, dell'utero e del collo dell'utero per rispettare la neutralità di linguaggio rispetto al genere.

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