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Mercoledì, 6 Dicembre 2023
L'intervista

L'allargamento che rischia di strappare l'Europa: "Dopo il Big Bang ora solo passi indietro"

"Dopo l'ingresso degli ultimi 10 Paesi è stata la stessa Ue a rallentare l'adesione di nuovi membri" spiega l'ex commissario Stefan Fule. E l'ingresso della Turchia non sembra il solo problema alla futura espansione del blocco

Con la candidatura dell'Ucraina all'ingresso nell'Unione europea, il dibattito sull'allargamento del blocco è tornato ad essere centrale. Di fatto questo processo è fermo da anni, esattamente dal luglio del 2013, quando la Croazia divenne il 28esimo Stato membro, l'ultimo a riuscire ad ottenere il via libera. "Da allora il motore dell'allargamento si è fermato, e non solo per la mancanza di progressi da parte dei Paesi candidati, ma anche perché è stata la stessa Europa a non fare il suo lavoro", a non spingere davvero per dare slancio al processo, dice a Today.it Stefan Fule, che quando la Croazia entrò nell'Ue era proprio il commissario europeo all'allargamento nell'esecutivo di José Manuel Barroso.

"Da allora è cambiato poco, ma anche molto, perché proprio da poco sono diventati candidati all'accesso l'Ucraina e altri importanti Paesi dell'Europa dell'est, e questo potrebbe dare nuovo slancio all'allargamento", afferma il diplomatico ceco. Fule riconosce che dopo quello che definisce il "Big Bang dell'ingresso degli ultimi 10 Paesi", tra cui la sua Repubblica Ceca, "non c'è stata più la volontà di allargarsi per vari motivi", uno di questi è che tra gli ultimi arrivati "c'erano nazioni che avevano credenziali democratiche completamente differenti, Paesi ex comunisti che sono dovuti passare attraverso una profonda trasformazione dal totalitarismo alla democrazia, che sulla carta hanno fatto tutti i passaggi necessari all'ingresso, ma di fatto non è stato esattamente così", come mostrano i problemi causati dagli scontri con Polonia e Ungheria "e queste sono le conseguenze dirette di ciò".

Fule-Erdogan-foto-Commissione

Ai tempi in cui lui era a Palazzo Berlaymont, la sede dell'esecutivo comunitario, anche i difficili negoziati di adesione della Turchia presero un nuovo slancio, con la firma degli accordi di riammissione dei migranti irregolari, che aprirono la strada alla liberalizzazione dei visti. Ma quei tempi sembrano ormai lontanissimi, con i negoziati tra Bruxelles e Ankara ormai congelati. "Negli anni dobbiamo riconoscere che è stato fatto molto lavoro da parte della Turchia per modernizzarsi, per quanto riguarda il commercio e i rapporti tra di noi, ma è chiaro che le distanze sulle questioni dello stato di diritto rimangono troppo ampie, e dobbiamo essere realisti sul fatto che nel prossimo futuro difficilmente ci saranno dei progressi. Ma questo non deve significare perdere ogni speranza e chiudere i canali di comunicazione. Serve un dialogo operativo che vada avanti su una serie di questioni importanti. Perché la Turchia resta un importante partner per l'Ue e insieme possiamo rafforzarci a vicenda", afferma l'ex commissario.

"Senza riforme l'Ue non sarà mai una potenza mondiale, e si condanna all'immobilismo"

La presenza di Recep Tayyip Erdogan "rende difficile un avanzamento nel processo di adesione. Se ci fosse un presidente che sostiene la democrazia, lo stato di diritto, favorevole alla liberazione dei prigionieri politici tutto sarebbe diverso. Se ci fosse un leader come Kemal Kilicdaroglu (l'ex leader dell'opposizione sconfitto alle ultime elezioni) che riportasse la Turchia sul percorso democratico, chiaramente sarebbe molto più facile, sarebbe molto più semplice fare le riforme. Ma al momento non c'è una persona del genere al potere", ci dice Amanda Paul, senior policy analyst dell'European policy centre (Epc), uno dei think tank più autorevoli di Bruxelles. Ma secondo Paul "in un certo senso questo è un vantaggio per l'Europa, perché se ci fosse un leader differente, più incline alle riforme, potrebbe essere un problema per alcuni, perché cambierebbero le dinamiche e il processo di adesione dovrebbe essere riaperto, e molti Paesi potrebbero non essere felici".

La Turchia, Paese principalmente musulmano di oltre 80 milioni di abitanti, diventerebbe uno dei giganti del blocco, e avrebbe lo stesso potere di nazioni come la Germania in Consiglio Ue e lo stesso numero di deputati. "Il fatto che sia un Paese tanto grande e potente può essere un freno, e alcuni Paesi membri non vogliono procedere davvero con i negoziati. Ma di fatto l'Ue li ha aperti nel 2005, è stato deciso di accettare prima la candidatura e poi di aprire le trattative. Da parte europea in questo senso c'è quindi stato un vero e proprio impegno, e per Ankara l'adesione è e resta un obiettivo strategico, e questo non cambierà", dice la studiosa. E la popolazione turca sogna l'adesione all'Europa, così come le imprese della nazione.

"Tra la popolazione c'è ancora un supporto molto alto all'adesione all'Ue, c'è sempre stato, credo ora sia tra il 60 e il 70%. E questo trend è stato consistente nel corso degli anni nonostante i problemi. La società turca, le persone di qualsiasi background, sostengono l'adesione all'Ue. E le relazioni economiche già sono molto buone, c'è l'Unione doganale già dagli anni Novanta e l'Europa è il principale partner commerciale della Turchia, e questa è una delle ragioni per cui Ankara vuole un aggiornamento di questa unione doganale, una modernizzazione, e anche in questo senso la riapertura dei negoziati faciliterebbe le cose".

Finché ci sarà Erdogan però un riavvicinamento sembra impossibile, soprattutto dopo le sue prese di posizione in politica estera che non sempre sono piaciute a Bruxelles. "Erdogan vuole che la Turchia sia un forte attore globale, un Paese che ha influenza non solo in Occidente ma anche in altre parti del Mondo: in Asia, in Medio oriente eccetera. È in questo senso che sta sviluppando la Turchia. Le sta facendo avere una politica estera autonoma che ha trasformato la nazione in un attore regionale molto importante, ma gli ha dato maggiore influenza anche a livello mondiale. Ma anche per Erdogan essere pare dell'Occidente è ancora importante per tutta una serie di ragioni", sottolinea Paul.

La sfida di portare un Paese come la Turchia in Europa resta complessa, ma per l'Ue potrebbe essere anche un'opportunità importante. Ma questo, per la ricercatrice, "dipenderà anche da come cambierà la stessa Unione europea".

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