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Giovedì, 28 Marzo 2024
Ambiente

Obiettivi sul clima lontani, l'Ue non fa abbastanza per stimolare gli investimenti sostenibili

La Corte dei Conti bacchetta la Commissione: "Servono ulteriori misure per tenere conto dei costi ambientali e sociali delle attività inquinanti"

Se l'Unione europea vuole davvero raggiungere i suoi obiettivi climatici, allora deve far aumentare di molto gli investimenti, sia pubblici e privati, verso attività sostenibili. È il giudizio della Corte dei conti europea che ha criticato la Commissione europea accusandola di non fare abbastanza. In un rapporto pubblicato questa settimana i giudici contabili sostengono che l’Ue mostra una certa incoerenza nei propri interventi, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di misure specifiche che guidino gli investitori (tanto pubblici quanto privati) nel finanziamento di attività sostenibili, così come di misure per affrontare i costi socio-economici e ambientali delle attività giudicate non sostenibili. A mancare sarebbero, peraltro, dei criteri sufficientemente coerenti per determinare la sostenibilità degli investimenti da finanziarsi tramite il bilancio comunitario.

Trasparenza sulla (in)sostenibilità

“Le azioni dell’Ue in materia di finanza sostenibile non saranno pienamente efficaci se non vengono adottate ulteriori misure per tenere conto dei costi ambientali e sociali delle attività non sostenibili”, ha avvertito Eva Lindström, responsabile della relazione. Il problema, ha specificato, è che le attività non sostenibili sono ancora “troppo redditizie”, e anche se “la Commissione ha fatto molto per rendere trasparente questa insostenibilità, il problema di fondo deve essere ancora affrontato”. Due i punti più critici per la Corte: da un lato, il mercato non tiene in sufficiente considerazione gli effetti negativi (ambientali e socio-economici) delle attività non sostenibili, dall’altro manca trasparenza su cosa possa essere definito sostenibile. Il piano d’azione per la finanza sostenibile, redatto dalla Commissione nel 2018, ha permesso di affrontare questi punti solo parzialmente, mentre molte misure sono state implementate in ritardo o necessitano di ulteriori specificazioni per diventare operative. È urgente, si insiste nella relazione, completare il sistema comune di classificazione delle attività sostenibili con una solida base scientifica. Inoltre, la Corte raccomanda di procedere con misure che rispecchino nel prezzo delle emissioni di gas serra il loro reale impatto ambientale.

Chi paga la transizione?

Quanto al bilancio dell’Unione, la Corte rileva che non sono state applicate pienamente le “buone pratiche” in materia, e che mancano nella maggior parte dei programmi dei criteri il più possibile uniformi per evitare che si arrechino danni significativi all’ambiente. Se questa situazione non venisse corretta, esiste il rischio che, al momento di stabilire la sostenibilità di attività simili, ma finanziate attraverso diversi programmi europei, vengano utilizzati criteri non uniformi, con conseguenze normative, economiche e ambientali potenzialmente gravi. Purtroppo molte attività economiche all’interno dell’Ue sono ancora ad alta intensità di carbonio, e perciò altamente inquinanti. L’obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 costerà, secondo stime della Commissione, qualcosa come 350 miliardi di euro l’anno in investimenti aggiuntivi – solo nel comparto energetico. Per centrare il secondo obiettivo climatico dell’Ue, l’azzeramento delle emissioni nel 2050, diversi esperti stimano una spesa annua in conto capitale di circa milla miliardi di euro a cominciare da ora.  Di questi costi, l’Ue potrebbe coprire all’incirca 200 miliardi l’anno nell’attuale periodo di bilancio (2021-27), ma non si sa cosa cosa succederà con il prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp). È dunque evidente che, da soli, i finanziamenti pubblici non saranno sufficienti per raggiungere gli obiettivi ambientali dell’Unione. Nel Qfp 2021-27, la Commissione prevede di destinare non meno del 30% del bilancio comunitario all’azione per il clima, e gli stati membri devono destinare a quest’ultima almeno il 37% dei fondi che riceveranno dal dispositivo per la ripresa e la resilienza.

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