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Venerdì, 29 Marzo 2024
Ambiente

"Investire nel gas non è più conveniente": lo studio

Secondo una recente analisi, il costo è già più alto di quello delle rinnovabili, e le cose possono solo andare peggio

“Mettere il gas in standby”: è il consiglio che fa da titolo all’ultimo report realizzato da Carbon Tracker, un think tank che si occupa di finanza sostenibile e dell’impatto della transizione energetica sui mercati finanziari. Secondo l’analisi, gli investimenti nel gas naturale non sono più convenienti, e vanno sostituiti con quelli in altre fonti, questo perché da un lato, il costo di produrre energia tramite rinnovabili si sta abbassando rapidamente, dall’altro perché comunque i governi che intendono centrare gli impegni sul clima saranno costretti a chiudere le loro centrali a gas nei prossimi anni.

Gas in perdita

Secondo il rapporto di Carbon Tracker, è giunto quindi il momento di ripensare a livello globale gli investimenti a lungo termine nelle centrali a gas. E non solo da un punto di vista ambientale: produrre energia tramite questo combustibile fossile è già più costoso rispetto alle rinnovabili, e questa tecnologia diventerà sempre meno redditizia nei prossimi anni. “Gli investitori che continuano a supportare il gas anziché le rinnovabili non si stanno solo esponendo al rischio di costi irrecuperabili ma stanno anche potenzialmente rinunciando a guadagni maggiori dal settore dell’energia pulita”, puntualizza Jonathan Sims, co-autore dello studio. Se infatti il gas riveste un ruolo limitato nell’accompagnare la transizione energetica, già ora è più economico generare energia costruendo nuovi impianti solari ed eolici di quanto non lo sia continuare a sfruttare le centrali a gas già esistenti. In Italia, ad esempio, sul lungo termine il gas costa più del doppio rispetto al solare e oltre un terzo in più dell’eolico.

I numeri della transizione

Lo studio rivela che la gran parte degli investimenti nelle centrali pianificate o già in costruzione non verranno mai recuperati. È già in perdita quasi un terzo degli impianti statunitensi (31%) e più di un quinto di quelli europei (22%, ma si tratta di una media: in Germania, ad esempio, l’88% delle centrali non genera profitto). La volatilità dei prezzi, inoltre, rende l’economia dell’energia prodotta dal gas sempre più fragile. Solo negli Stati Uniti, oltre 20 miliardi di euro in nuovi progetti sono a rischio, anche nel caso in cui i nuovi impianti rimanessero attivi per tutta la loro “vita”. Ma sulla durata del ciclo vitale degli stabilimenti incombono gli impegni presi dai governi sull’ambiente: per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, infatti, molte centrali a gas dovranno essere chiuse ben prima la fine della loro durata programmata, il che comporterà perdite ancora maggiori per chi ha investito nel gas. Nel report si calcola che la chiusura degli impianti attivi che attualmente generano profitti dovrebbe implicare la perdita (non recuperabile) di quasi 5 miliardi di euro negli Stati Uniti e di oltre 8,5 miliardi in Europa.

Le raccomandazioni

Per tutte queste ragioni gli autori del rapporto chiedono alle autorità pubbliche di abbandonare il gas naturale, almeno quello “non-decarbonizzato”, che non viene cioè utilizzato con tecnologie per l’immagazzinamento, il riciclo e lo stoccaggio della CO2. Secondo le stime, questo combustibile rappresenta la fetta più grossa (34%) delle emissioni nel settore energetico in Europa. Secondo Sims, “i decisori politici devono chiedersi se appoggiare progetti relativi al gas potenzialmente infruttuosi e che possono minare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi climatici di lungo termine sia l’utilizzo migliore per i soldi dei contribuenti”. “Le rinnovabili, assistite dagli stock (cioè dall’accumulo dell’energia che non viene utilizzata subito, ndr), sono sempre più in grado di fornire servizi di rete affidabili, non interessati dai prezzi volatili dei carburanti e dei carboni”, ha aggiunto, il che si traduce in una maggiore stabilità tanto per i consumatori quanto per le imprese. In diverse aree del mondo, tuttavia, il gas naturale è ancora considerato essenziale nella transizione tra fonti fossili e rinnovabili: in Europa, ad esempio, un gruppo di Stati guidato dalla Germania chiede che questo combustibile sia etichettato come “necessario” alla transizione energetica.

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