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Venerdì, 19 Aprile 2024
Fake & Fact

Intrigo Glifosato: veleno per l'uomo o un bene per l'agricoltura?

Il Parlamento Ue e 1,3 milioni di cittadini comunitari ne chiedono il bando. Ma cosa c’è dietro la battaglia contro il diserbante più venduto al mondo?

Un veleno da mettere al bando, come chiede, seppur con relativa calma, il Parlamento europeo e, con urgenza, una petizione firmata da oltre 1,3 milioni di cittadini comunitari? O uno strumento estremamente utile ed economico a disposizione degli agricoltori, anche di quelli che praticano l’agroecologia o agricoltura di conservazione? Il glifosato, l’erbicida più usato al mondo e fiore all’occhiello, almeno fino al 2000, della Monsanto, è finito nell’occhio del ciclone della politica comunitaria, con l’eurocamera che ne chiede il divieto totale in agricoltura dal 2022 e i 28 che invece non riescono a decidere: nella riunione del 25 ottobre non si è trovato l’accordo su un rinnovo dell’autorizzazione per 7 o 10 anni e così la partita riprenderà il 9 novembre. Sul tavolo rimane un’ipotesi di rinnovo per 5 anni. 
Dietro a questa battaglia politica, un’altra scientifica fatta di pareri diversi se non divergenti da parte di organismi internazionali ed europei ed una mediatica, lobbistica e cospirativa, fatta di umori popolari e di pressioni e rivelazioni – i famosi Monsanto Papers – che mettono a nudo le pratiche non certo fair play del colosso nordamericano del biotech, ma anche fatta di studi che scagionano il glifosato e che vengono misteriosamente insabbiati.

Andiamo per ordine, cos’è e come agisce il glifosato? 

Scoperto nel 1970 dal chimico della Monsanto John E. Frentz, partendo da una precedente sintesi elvetica, ed immesso poco dopo nel mercato dalla multinazionale statunitense nel suo prodotto stella, il Roundup, il glifosato è un diserbante non selettivo – funziona per tutte le piante – che viene polverizzato sulle foglie e penetra nella struttura del vegetale inibendo un enzima cruciale per la fabbricazione di certi amminoacidi essenziali per la vita della stessa pianta, che dopo alcuni giorni muore. Il glifosato non è sistemico, ossia tocca le erbacce, ma non colpisce i microbi del terreno, i vermi e gli insetti. Viene utilizzato oltre che in agricoltura anche per pulire le infrastrutture di trasporto e nei parchi pubblici ed ha avuto, inoltre, un grande utilizzo associato a culture transgeniche resistenti al suo principio attivo prodotte dalla stessa Monsanto. 

E’ dannoso per l’uomo?

Qui inizia la battaglia scientifica. Fin dagli anni Ottanta il glifosato è finito sotto la lente di diversi organi di controllo: la U.S. Environmental Protection Agency, la Health Canada's Pest Management Regulatory Agency, la New Zealand's Environmental Protection Authority e la Japan's Food Safety Commission hanno analizzato gli effetti dell’erbicida sulla salute umana e tutte hanno dedotto che non è cancerogeno. 

Un coro unanime rotto nel marzo 2015 quando un’Agenzia della OMS, la IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, stabiliva che il glifosato era “probabilmente cancerogeno” per l’uomo, in particolare per lo sviluppo di tumori linfatici non Hodgkin. La valutazione della IARC si basava unicamente su test su roditori a cui veniva iniettata la sostanza, non analizzava gli effetti sugli individui venuti a contatto con il glifosato. Comunque sia, il glifosato veniva inserito nella lista A2 della IARC, quella appunto degli agenti “probabilmente cancerogeno”, in cui figurano al momento 81 sostanze, tra cui il DDT, gli steroidi anabolizzanti e la carne rossa. 

Pochi mesi dopo, nel novembre dello stesso anno, l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare di Parma, ribaltava il giudizio della IARC, sostenendo che "è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l'uomo" e proponendo, parallelamente, “nuovi livelli di sicurezza”. Il ribaltone veniva completato, nel maggio 2016, dalla stessa OMS, che in un parere congiunto con la FAO, negavo l’esistenza di un legame tra il glifosato e i tumori non Hodgkin. Quindi nel marzo di quest’anno un nuovo studio dell’ECHA, l’Agenzia Ue per le sostanze chimiche, ha concluso che il glifosato non può essere considerato né cancerogeno né genotossico.

Infine, a settembre 2017, un’altra valutazione dell’EFSA, questa volta sugli effetti del glifosato sul sistema endocrino, assolveva ancora il diserbante considerandolo privo di qualunque proprietà disruttiva. Nessuno studio mette inoltre in correlazione il glifosato con la moria di api rilevata negli ultimi anni. 

Intrighi da Glifosato

La partita non finisce però nei pareri tecnici, perché sul tavolo ci sono altri fattori. In primis i Monsanto Papers, i documenti che indicano le pressioni della multinazionale a stelle e strisce su EFSA e ECHA, che hanno rilanciato negli ultimi mesi un dibattito assolutamente mai sopito, quello sull’indipendenza e quindi la credibilità, in particolare, dell’Agenzia di Parma nel formulare le proprie valutazioni. In sostanza le Agenzie Ue non avrebbero seguito il parere della IARC perché subiscono le pressioni della Monsanto, perché nei loro board fioccano i conflitti di interesse con l’industria e perché utilizzano nelle loro analisi documenti e studi realizzati dalla stessa multinazionali e mai resi pubblici. 

Oltre a ciò una serie di studi scientifici e/o para scientifici che inondano internet sulla presenza di glifosato nella catena alimentare, e dei correlati danni per la salute umana, studi che però non hanno mai conquistato le pagina di una rivista scientifica. Un altro studio, quello dello scienziato francese Gilles-Éric Séralini, che evidenziava una grave patogenicità e cancerogenicità del glifosato nei ratti, veniva sì pubblicato nel 2012 dalla rivista Food and Chemical Toxicology, ma veniva poi anche prontamente ritirato a seguito della sollevazione della comunità scientifica internazionale, allarmata per metodologie usate da Séralini nei suoi esperimenti. 

E contro-intrighi

Se EFSA ed ECHA sono messe in dubbio per le potenti manovre della Monsanto, non mancano i casi di pressioni anche sull’altro bando. Nel marzo 2015 Aaron Blair, epidemiologo del U.S. National Cancer Institute, partecipava a quella famosa riunione della IARC in cui 17 esperti finivano per indicare il glifosato come “probabilmente cancerogeno”. Fin qui tutto bene, solo che, come ha ricostruito la Reuters, Blair scordava di far presente ai colleghi che la revisione da lui realizzata a partire dal gennaio 2013 dell’Agricultural Health Study scagionava l’invenzione della Monsanto dal causare tumori. L’Agricultural Health Study è uno studio sugli effetti dei pesticidi, incluso il glifosato, sulla vita di 89.000 tra lavoratori agricoli, agricoltori e le loro famiglie in Iowa e North Carolina a partire da inizio anni Novanta. In sostanza non topi ma uomini e dati, oltretutto, provenienti dal più amplio e più completo studio mai realizzato su pesticidi, agricoltori e tumori. Ma Blair non presentò mai quei dati alla IARC, dati che avrebbero probabilmente mutato il parere, poi comunque rivisto dalla OMS, sulla cancerogenità dell’agente. Quanto alla veridicità delle sue conclusioni, insabbiate, Reuters le ha poi fatte analizzare da due scienziati indipendenti, entrambi confermavano i risultati dello studio volutamente messo in disparte da Blair. Perché? Lo scienziato si è sempre difeso affermando che inserendo il glifosato il suo studio sarebbe stato troppo corposo e che non poteva inserire tutti gli agenti analizzati, come se il glifosato non fosse più interessante degli altri, non foss’altro per essere il diserbante più venduto ed utilizzato al mondo. 

Glifosato uguale a Monsanto?

Il brevetto del glifosato è scaduto nel 2000, da allora è prodotto da una trentina di imprese di diversi paesi. Proprio a inizio millennio si deve il boom di vendite del diserbante, anche perché, parallelamente, la multinazionale americana metteva in commercio degli OGM resistenti al glifosato, semi biotech non coltivati e non coltivabili in Europa. 
L’interdizione del diserbante sarebbe un colpo per il colosso del biotech? Il fatto che ormai il glifosato sia un ‘generico’ implica che per la Monsanto i benefici, pur di fronte a grosse vendite, siano alquanto limitati. Probabilmente una sua interdizione sarebbe più redditizia: la Monsanto immetterebbe nel mercato un altro prodotto protetto da brevetto, quindi più caro, e meno sicuro, non avendo alle spalle tutti i test del glifosato. In pratica c’è il rischio di farle un favore. Inoltre le vendite di RoundUp nella Ue dal 2000 sono diminuite: il totale del mercato europeo e di quello africano rappresenta solo intorno al 10% del giro d’affari globale della Monsanto con l’erbicida.
Questo legame con la multinazionale americana, in odore di matrimonio con la Bayer (che peraltro ha il brevetto di un diserbante alternativo), potrebbe però essere parte della causa della campagna contro il glifosato. “Per quanto ci siano fitosanitari più tossici il glifosato è il cattivo perfetto del film”, spiega per mail David Soba, ingegnere agronomo esperto di agricoltura sostenibile ed autore del blog El Ecologista Transgenico, “lo ha creato la Monsanto e in alcuni paesi extra-Ue è associato agli OGM, io credo che sia una maniera in più di lottare proprio contro le coltivazioni transgeniche”.

Esistono alternative più verdi?

Esistono, sia sotto forma di tecniche agronomiche alternative al diserbo o sia tramite l’utilizzo di mezzi meccanici, come i decespugliatori. Attività già realizzate nell’agricoltura Bio e realizzabili senza eccessivi oneri anche nei parchi pubblici e in piccoli appezzamenti ma estremamente più care, per l’impiego di tempi e mezzi, su ampli terreni agricoli. Altri fitosanitari, anche di origine naturale, come l’aceto, hanno un livello di tossicità più elevato del glifosato. 

Con quali costi?

La Copa-Cogeca, l’associazione europea di agricoltori ed allevatori si è espressa contro il bando, per i rischi di perdita di competitività dell’agricoltura del vecchio continente. Uno studio di impatto realizzato in Spagna parla di perdite per 2 miliardi di euro e di 5 mila posti di lavoro all’anno per il solo paese iberico e uno francese di 900 milioni per quello transalpino. Contro il bando anche le associazioni di agroecologia, o agricoltura di conservazione, quelle pratiche che potenziano la cattura del CO2 nel suolo e che sono state promosse nel quadro dell’accordo COP21 contro il cambiamento climatico. “Tutti quelli che fanno agricoltura di conservazione”, spiega all’agenzia AFP Arnaud Rousseau, presidente dell’associazione francese di produttori di semi oleosi, “dovranno smettere con questo tipo di agricoltura se non potranno ricorrere al glifosato in particolare per pulire i campi prima della semina”. 
 

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