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Venerdì, 19 Aprile 2024
Ambiente

Primo stop al piano Ue su clima: Orban e i Visegrad vogliono più soldi

Polonia, Ungheria e Repubblica ceca si oppongono alla proposta della Commissione europea di raggiungere una neutralità climatica entro il 2050. E in Germania cresce l'opposizione alla richiesta dell'Italia di scorporare gli investimenti verdi dal Patto di stabilità

Dopo neppure 24 ore dalla sua presentazione, dai Paesi dell'Est arriva il primo stop al maxi piano d'azione sul clima della nuova Commissione europea, il Green New Deal che prevede un taglio delle emissioni al 50% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Obiettivi che per economie fortemente dipendenti da carbone e fonti fossili, come quella della Polonia, sembrano a oggi irrealizzabili. Ed è proprio Varsvia, insieme al governo ungherese di Viktor Orban e alla Repubblica ceca, a opporsi al piano. 

Veto dell'Est sul clima

I tre Paesi, infatti, minacciano di porre il veto alle conclusioni sul clima del vertice Ue in corso a Bruxelles. Conclusioni che, nelle speranze della neo presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, dovrebbero includere i target fissati nella sua Comunicazione sul Green New Deal. Ma Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (che con la Slovacchia formano il gruppo di Visegrad) chiedono che nelle conclusioni ci sia anche un chiaro impegno finanziario per aiutare gli Stati più colpiti dalla transizione. "Ci sono ancora tre Paesi che per diverse ragioni hanno problemi a impegnarsi all'obiettivo" della neutralità climatica entro il 2050, ha detto una fonte europea all'Agi. "Non so se se ci sarà un accordo sulla bozza di conclusioni" preparata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha confermato un'altra fonte: "Alcuni Paesi dicono che possono dare il loro accordo solo se si conoscono le implicazioni finanziarie".

Il Just Transition Fund

Al centro delle rimostranze, dunque, è il Just Transition Fund (il Fondo della transizione giusta, ndr), annunciato ieri da von der Leyen nell'ambito del Green Deal per aiutare i Paesi e le regioni che si trovano in ritardo nella transizione climatica perché dipendenti da energie fossili. La Repubblica ceca, inoltre, insiste affinché nelle conclusioni ci sia un chiaro riferimento al nucleare come fonte indispensabile per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (sostenuta in questo dalla Francia). Ma la richiesta sul nucleare è ritenuta inaccettabile da Austria, Lussemburgo e Germania.

L'attuale bozza di conclusioni del Consiglio europeo ribadisce che gli Stati membri sono liberi di scegliere il loro mix energetico, ma è considerata dalla Repubblica ceca troppo vaga per assicurare che il nucleare riceva finanziamenti Ue, anche perché la Commissione ha annunciato l'intenzione di tagliare una volta per tutte il sostegno alle fonti fossili. Non a caso, dietro le quinte del Green Deal, c'è un negoziato fondamentale per il futuro Ue, quello sulla tassonomia: quali fonti ritenere "verdi"? Il negoziato interessa da vicino anche l'Italia, che spinge perché il gas naturale sia ritenuto sostenibile e non equiparato ai fossili.  

Ma quello sul gas non è l'unico fronte su cui sarà impegnato il premier Giuseppe Conte. C'è innanzitutto il tema del bilancio pluriennale dell'Ue, quello che scatterà nel 2021: la proposta sul tavolo degli Stati membri è considerata poco ambiziosa dalla stessa Commissione europea e dell'Eurocamera. In Italia, sono soprattutto gli agricoltori a chiedere investimenti maggiori perché cosi' comè la bozza comporterà tagli pesanti alla Politica agricola comune, ossia agli aiuti diretti e ai progetti del Psr. Germania e Olanda, in particolare, restano pero' inamovibili e non intendono aumentare più di tanto i loro contributi nazionali.

Gli investimenti verdi

C'è poi la questione della revisione del Patto di stabilità, che non è in agenda al vertice, ma è legata a doppio filo sia con il Green New Deal, sia con la riforma dell'Eurozona (Mes, unione bancaria e bilancio comune). L'Italia, come è noto, ha chiesto che gli investimenti 'verdi' siano scorporati dal computo del deficit, in modo da non venire limitati dal rispetto dei limiti di budget annuali. Nella sua Comunicazione, la presidente von der Leyen, dopo un'intervista in cui di fatto chiudeva la porta a questa proposta, ha lasciato una finestra aperta, rimandando pero' il tema al dibattito tra gli Stati membri. 

Il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, è invece stato più esplicito, annunciando di voler riesaminare la normativa dell'Ue che limita il ricorso al deficit di bilancio, facendo cosi' balenare la possibilità che quelle regole siano piegate per rendere più facile ai governi dei Paesi membri ottenere prestiti dai mercati da investire poi in progetti a favore dell'ambiente. Parole che non sono piaciute a esponenti importanti del governo tedesco. Eckhardt Rehberg responsabile per le questioni di bilancio dell'Unione cristiano-democratica (Cdu), ha dichiarato che il Patto di stabilità e crescita già prevede abbastanza flessibilità per permettere investimenti pubblici: "Non abbiamo affatto bisogno di ulteriori eccezioni alle regole", ha evidenziato Rehberg. Ancora più netto Hans Michelbach, esponente dell'Unione cristiano-sociale (Csu): "Il piano di Gentiloni è un attacco diretto agli obbiettivi di stabilità con il pretesto di proteggere il clima", ha detto. 

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